Sull’immunità trionfa l’ipocrisia. E il “Corriere” lo scopre adesso
E’ vero. Ha ragione Pierluigi Battista a scrivere sul “Corriere delle Sera” che in Parlamento si celebra il trionfo dell’ipocrisia. Una volta, tanto per ricordare come vanno le cose, nel nome dell’art. 68 della Costituzione che garantiva l’immunità parlamentare, voluto dai Padri costituenti per mettere al riparo il potere politico da chi avrebbe potuto attaccare la democrazia con mezzi impropri, in nove casi su dieci l’autorizzazione all’arresto di un deputato non veniva concessa. Poi venne il tempo di Tangentopoli. Il tempo del furore giustizialista che soppiantò, manco a dirlo, ogni passione garantista. L’art. 68 venne smontato, annacquato, praticamente ridotto a un nonnulla. Cancellata la vecchia “autorizzazione a procedere”, l’unica possibilità per “La Casta”, secondo la definizione di Stella e Rizzo (anche loro giornalisti del “Corriere”), è rimasta quella di valutare se esista o meno “fumus persecutionis”. Un concetto talmente vago e sfuggente che si presta a mille interpretazioni. Così ognuno tira la molla dove più aggrada. Con il risultato che il principio diventa sacro e inviolabile a seconda dell’appartenenza del parlamentare ad un partito piuttosto che all’altro. Anzi, la molla si è fatta così molle , scuserete il gioco di parole, che ormai non serve più a nulla. L’architrave su cui poggiavano le vecchie e nuove guarentigie si è frantumato, le impalcature che offrivano sostegno ed equilibrio al sistema costituzionale sono saltate. Il diritto di ogni imputato ad essere considerato innocente fino a condanna definitiva è rimasto scolpito nei libri di testo, per essere annullato in pratica dalla gogna mediatica cui si è esposti al semplice annuncio di un avviso di garanzia che giunge a destinazione. Insomma, siamo passati dal “tutti fuori” al “tutti dentro”, registra con una punta di indignazione Pierluigi Battista, cui va riconosciuto il merito di averla sempre pensata in questo modo, senza fare sconti a nessuno , a destra come a sinistra. Effetto di ipocrisia, non c’è dubbio. Ma forse c’ è anche dell’altro, oltre l’ipocrisia nebbiosa che avvolge e sconvolge le coscienze dei parlamentari che mandano in carcere un loro collega, senza neppur aver letto gli atti d’accusa né udito i pur legittimi argomenti a difesa. C’è la paura, il terrore di essere accusati di collusione, di collaborazionismo, di partigianeria a favore della Casta, di essere esposti al ludibrio popolare e all’attacco che ,puntualmente, parte dalle colonne dei giornali contro chi minimamente prova a ragionare con la propria testa ( e la propria coscienza) senza dar retta agli ordini di partito. E c’è, perché non dirlo, la supina accettazione di una condizione subalterna, di una dignità perduta, di un ruolo secondario cui è ormai ridotto il Parlamento dei nominati. Eppure, vale la pena ricordare che l’immunità esiste in tutte le democrazie. C’è nel Parlamento europeo, dove siedono rappresentanti del nostro Paese. Non solo. Recentemente, in una intervista a La7, il magistrato Raffaele Cantone, ora alla guida dell’Autorità per la lotta alla corruzione, ha ricordato che l’art.68 fu ritoccato perché se ne era fatto abuso, non perché non avesse senso e fosse stato un errore introdurlo nel nostro ordinamento. Ecco il punto. Nella precedente legislatura cercammo di spiegarlo in un progetto di legge costituzionale che raccolse adesioni in vari schieramenti politici: a destra, a sinistra e al centro. Allora il Corriere sorvolò. Ed anche al pur attento Pierluigi Battista la notizia sfuggì. Che cosa dobbiamo pensare ? Permettete una malignità. Forse la linea del “Corriere”, a quei tempi, era di tutt’altro orientamento. Oppure erano in ballo delicate questioni di direzione e di assetti editoriali, tali da mettere la sordina a questioni poco popolari, anche se fondamentalmente importanti. Proprio come fanno i partiti. Per questo, giustamente rimbrottati dal giornale di Via Solferino.