Stangata su smartphone e tablet. Capezzone: è una tassa anti-modernità

8 Lug 2014 14:06 - di Redazione

«Purtroppo i nostri timori di una nuova “tassa anti-giovani e anti-modernità” erano fondati. È stato alla fine pubblicato in Gazzetta Ufficiale, infatti, il decreto Franceschini con gli aumenti delle tariffe del cosiddetto “equo compenso” per copia privata su tablet e smartphone, e su altri supporti digitali. E tabelle definitive alla mano, la stangata è persino peggiore di quanto temevamo: in alcuni casi, come per gli smartphone, calcolando l’Iva del 22%, un aumento anche del 700%”. Lo dice il presidente della commissione Finanze della Camera Daniele Capezzone. “Anche il governo Renzi – aggiunge – sembra tenacemente impegnato a colpire qualsiasi bene di consumo che nonostante la crisi ancora si muova, si tratti della birra o di smartphone e tablet, che sempre più italiani desiderano e possiedono e, proprio per questo, ovviamente, fanno gola ai tassatori in servizio permanente effettivo. Ricordiamo di che si tratta con un esempio pratico: un ragazzo acquista legalmente l’album del suo cantante preferito, pagandovi regolarmente il diritto d’autore, poi copia le canzoni su un altro dispositivo, questa si chiama “copia privata”. È perfettamente legale, se per uso personale e non commerciale, ma su questa copia è dovuto un ulteriore compenso all’autore, oltre ai diritti già pagati al momento dell’acquisto dell’originale. Non potendo stabilire chi farà o meno una copia privata, si è stabilito di far pagare una tassa fissa su ciascun dispositivo elettronico che in teoria può contenere queste copie. Ora il Governo moltiplica per 5 o anche 7 volte questa tassa” anche se “solo il 4-5% (il 13% secondo un rapporto commissionato dal precedente ministro Massimo Bray) utilizza smartphone e tablet per trasferirvi copie private, quindi nel 95/96% dei casi si paga una tassa per un uso del dispositivo che non verrà mai fatto”. “Grazie al decreto Renzi-Franceschini – conclude Capezzone – si stima un gettito per le casse Siae di oltre 150 milioni di euro. Mai, poi, si è vista una tassa il cui gettito viene trasferito così direttamente nelle casse di un ente che cura gli interessi di un gruppo di privati molto ristretto e non direi in condizioni di povertà”, conclude.

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