Parigi non vuole restituire all’Iraq i soldi di Saddam: resta sui conti svizzeri il tesoretto di 20 milioni

4 Lug 2014 19:44 - di Redazione

Pecunia non olet, dice un vecchio proverbio latino. Il denaro non puzza. Anche se è quello di un ex-dittatore che ha sulle proprie spalle lo sterminio di migliaia di curdi. E’ certamente questo il motivo per cui il governo francese si tiene stretti i soldi di Saddam. E non intende assolutamente restituirli all’Iraq che, certo, di quei soldi ne ha notevolmente bisogno, se non altro per dar da mangiare alla popolazione.
Ma i francesi sono francesi. E quindi si tengono stretto il bottino. A rivelarlo è il quotidiano Le Figaro che mette in evidenza il rifiuto della Francia di restituire i beni sequestrati alla dittatura dell’ex-rais iracheno. Undici anni dopo la caduta di Saddam e nonostante la risoluzione Onu del 2003 – racconta Georges Malbrunot, il grande giornalista del Figaro che proprio in Iraq venne sequestrato per 4 mesi – le autorità transalpine sembrano essere reticenti alla restituzione di 20 milioni di euro e circa un milione di azioni di diverse aziende congelati ai tempi della dittatura. «E’ un mini-scandalo. La Francia è l’unico Paese al mondo che non ha sbloccato i soldi dell’ex-regime», protesta un esperto vicino al dossier. I beni in questione sono di due categorie: alcuni appartengono alla banca centrale, alle banche Rafidain e al-Rachid, nonché a compagnie assicurative e persone legate all’ex-dittatura.
I soldi sono bloccati in diverse banche, nell’attesa che il Tesoro ordini di rimpatriarli in Iraq. Inoltre, c’è un importante pacchetto di azioni (circa un milione) che il regime aveva acquisito negli anni Ottanta. Titoli che vennero congelati nel 1991, dopo l’invasione del Kuwait da parte di Saddam, e da allora nelle mani della BNP. Oggi Baghdad vorrebbe almeno conoscere l’ammontare dei dividendi che quelle azioni hanno fruttato. Ma nonostante le sollecitazioni degli iracheni, dalla banca non giunge risposta. Inoltre, nel 2011, BNP Paribas ha trasferito le azioni Lagardère in un conto della Svizzera.
«Avrebbero dovuto informarci di questo trasferimento», protesta un alto ufficiale iracheno. Tanto più che a Parigi, era stato lo stesso ministero dell’Economia, il 25 maggio 2011, ad autorizzare il bonifico. Ma anche nel governo si fanno orecchie da mercante rispetto alle ripetute richieste irachene. Anzi, si parla di «sforzi messi in campo» per restituire i beni: modifica legislativa del luglio 2013, decreto in Consiglio di Stato nel 2010, legge del 2009. «Purtroppo – aggiungono a Parigi – questi sforzi sono stati resi vani dalla chiusura del Fondo per lo sviluppo dell’Iraq».
Da parte sua, il ministero degli Esteri commenta questo spinoso dossier ricordando che la Francia annullò gran parte del debito iracheno subito dopo la guerra. Per Baghdad non ci sono dubbi: in realtà, dietro alle risposte dilatorie di Parigi, si nasconde una «assenza di volontà». Per ora, le autorità francesi hanno restituito all’Iraq ben poca roba rispetto all’immenso patrimonio congelato da undici anni. Tra i beni tornati in patria, lo yacht di Saddam e una villa del suo fratellastro a Cannes.

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