L’agroalimentare italiano alla conquista dell’Africa: ma faremo magri affari. È difficile vendere la “qualità” a chi è povero

21 Lug 2014 17:35 - di Redazione

Alimentare italiano sugli scudi. Se a livello mondiale, soprattutto negli Stati uniti e nella Germania, si soffre la concorrenza dei nostri prodotti e si cercano le soluzioni nelle adulterazioni e nelle truffe (è il caso del Parmigiano Reggiano, degli spaghetti o del Chianti made in Cile) i Paesi dell’Africa guardano al made in Italy nel campo dell’agroalimentare come a un settore di altissimo valoresia in termine di sicurezza e qualità dei prodotti che di efficienza e sostenibilità del processo produttivo. Luigi Scordamaglia, vicepresidente di Federalimentare che, al seguito del presidente del Consiglio in visita nei Paesi Sub Sahariani, ha approfondito le opportunità di collaborazione e sviluppo in quest’area per le imprese italiane del settore. «’L’interesse in Paesi come l’Angola è duplice – ha precisato Scordamaglia – da un lato si sviluppano importanti quote di mercato per le eccellenze del food and beverage italiano soprattutto in canali quali l’Horeca e la distribuzione moderna, dall’altro, si sta avviando un importante processo di modernizzazione della loro produzione agricola. Nelle aziende della filiera agroalimentare italiana quei popoli vedono gli strumenti ideali per valorizzarla in maniera sostenibile». Federalimentare fa notare il ritardo con cui le Istituzioni italiane si interessano di questa area del mondo strategica per il futuro«facendo perdere alle aziende italiane il primato in molti settori». «Non però in quello agroalimentare – ha concluso  Scordamaglia – in cui siamo visti come modello di eccellenza senza concorrenti». Perdiamo, insomma, grosse fette dei mercati opulenti, dove etichette abilmente falsificate ci fanno perdere molti miliardi e diffondono un’immagine non vera del made in Italy, ma cerchiamo di conquistare quelli più poveri. Peccato che questi ultimi hanno un potere d’cquisto talmente basso dall’essere interessati più alla quantità che alla qualità e quindi, in molti casi, escludo a priori l’acquisto di prodotti italiani per l’alimentazione.

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