I vertici del pallone italico attratti dal renzismo: non vinca il migliore ma chi è… giovincello
D’accordo. Se uno di nome fa Tavecchio e c’ha pure più di settant’anni non parte avvantaggiato. Soprattutto nel can-can blaterante del rinnovamento a tutti i costi che in queste ore avvinghia anche la scena calcistica nazionale. Che dopo le dimissioni, finalmente!, di Abete Luigi e di Prandelli Cesare a seguito del macroscopico disastro rimediato in terra carioca, fosse necessario rinnovare era ed è del tutto ovvio. Qualche dubbio però cominciamo a nutrirlo sul come. Perché mica è convincente questa storiella che in tanti ci stanno raccontando. Quella dell’equazione tra età anagrafica e rinnovamento, per l’appunto. Che, almeno nel caso del dorato mondo del pallone italico, sembra fatta apposta per fottere qualcuno e favorire qualcun’altro. Noi non conosciamo il signor Tavecchio Carlo, attuale presidente della Lega nazionale dilettanti e candidato nei confronti del quale si addensano gli strali degli innovatori. Non lo conosciamo, ma confessiamo che un po’ di simpatia ce la fa. Perché mica lo puoi inibire così uno, senza ascoltarne propositi e ragioni, ma impiccandolo all’albero del rinnovamento tout-court. Soprattutto se le urla, o piuttosto gli strepiti, vengono da presunti giovani e ancor più presunti innovatori. Tipo quel simpatico sparasentenze di Fabio Caressa che dalla location di Sky sport a Copacabana o dal tempio del Maracanà non perde occasione per invocarlo il rinnovamento. Negli uomini e nelle idee, ovviamente. Producendosi, sul versante uomini, in una intemerata del tipo «se anche in politica abbiamo Renzi, alla Figc non ci può esser uno di settant’anni come Tavecchio». E su quello idee, nella sponsorizzazione entusiasta della bomboletta di schiuma per gli arbitri: che sarebbe una sorta di panacea rigenerante per il nostro calcio malato. Intemerate che suonano però stantie nei modi e nei tempi. E prodotte, in aggiunta, da uno che proprio quando presenta una partita ti fa rimpiangere i cinegiornali dell’Eiar tanto è tronfio di retorica patriottarda tipo «teniamoci forte», «tutti insieme con la mano sul cuore» e via blaterando. No, così non va. Non si rinnova con la carta di identità. Né con le parole. Non era un ragazzino Einstein, ma pensava come un giovanotto. Così come Platone e Socrate. E tutti gli altri che qualcosa hanno innovato davvero.