Storace pronto al carcere per vilipendio (di Napolitano). Il web si mobilita in suo favore

28 Giu 2014 17:05 - di Valeria Gelsi

Non più solo un problema personale. Francesco Storace ha voluto fare della propria imputazione per vilipendio al capo dello Stato una battaglia politica. E ha centrato l’obiettivo. Da quando una manciata di giorni fa, con un editoriale su Il Giornale d’Italia, ha annunciato che in caso di condanna, il 21 ottobre, rinuncerà alla facoltà di ricorrere in appello e si presenterà a Regina Coeli per essere incarcerato ha ricevuto un profluvio di attestazioni di solidarietà personale e di sostegno politico.

La sua bacheca, su Twitter, è piena di messaggi che lo incitano ad andare avanti, rilanciando una frase coniata da Daniele Capezzone che ormai è diventata uno slogan: «Supporto la battaglia civile, politica e culturale di Storace». Alcuni di questi messaggi sono firmati da opinion leader, come Paolo Del Debbio, e molti da dirigenti politici e parlamentari. Oltre a Capezzone, hanno scritto, tra gli altri, Mara Carfagna, Anna Maria Bernini, Gregorio Fontana, Lucio Barani e Maurizio Gasparri, a sua volta promotore di una iniziativa di legge per l’abrogazione dell’articolo 278 del codice penale. I più numerosi, però sono i tweet degli italiani, alcuni dei quali si dicono anche distanti politicamente da Storace, ma vicini in una vicenda che leggono non solo come un’ingiustizia nei suoi confronti, ma come il frutto di una legge a tutela della “casta”. La vicenda risale al 2007, quando alcuni militanti della Destra, in polemica con il governo Prodi che si reggeva sul voto dei senatori a vita, lanciarono sul blog del segretario l’idea di mandare delle stampelle a Rita Levi Montalcini. La responsabilità di quella “bravata” fu addossata al leader del partito, che scelse di non fare a scaricabarile, limitandosi a dire «so’ ragazzi». Giorgio Napolitano bollò l’episodio come «indegno», Storace rimandò al mittente quell’aggettivo. Da lì la procedura nei suoi confronti, autorizzata nel giro di 48 ore dall’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. Poi la pratica è andata avanti d’ufficio, nonostante vi fosse stato un incontro chiarificatore con Napolitano, che da parte sua aveva «ritenuto chiuso l’incidente», come scritto in una lettera del suo portavoce di allora, Cascella, tirata fuori dall’avvocato di Storace e ricordata in questi giorni dallo stesso ex presidente della Regione Lazio. Tutto questo, però, oggi, nelle parole e intenzioni di Storace sembra ormai passato in secondo piano, perché il punto è portare avanti la battaglia contro «una procedura borbonica». In un’intervista a Il Fatto quotidiano, Storace ha spiegato di considerare il vilipendio «il tipico reato di casta, non ci si rende conto che non ha più senso. Si viene processati per le proprie idee». Per questo motivo si è detto pronto ad andare in carcere. Una assoluzione, in realtà, è ancora possibile, ma non sarebbe un risultato politico di fronte a una causa di cui l’imputato dice: «Ho la sensazione che nessuno sappia come liberarsene». Dunque, la richiesta, questa sì squisitamente politica, è un’altra: «Giorgio Napolitano chieda al Parlamento l’abrogazione del reato di vilipendio al capo dello Stato, come si è già impegnato a fare», ha scritto Storace nel suo editoriale, sottolineando che se il presidente della Repubblica «si sente offeso, deve querelare» invece di farsi tutelare da una vecchia legge.

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