“Sangue sparso”, il film su Acca Larentia che svergogna una generazione di magistrati

7 Giu 2014 19:19 - di Redazione

Quando li ammazzarono a sangue freddo lei aveva sette anni. Caddero sul selciato di via Acca Larentia Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta quel tardo pomeriggio del 7 gennaio 1978 mentre cercavano, disperatamente, di sfuggire a quella pioggia di proiettili che gli arrivava addosso. Poche ore dopo toccò a Stefano Recchioni. Trentasei anni dopo quella strage che segnò un punto di non ritorno nella lotta politica divenuta mattanza, Emma Moriconi, quel giorno una bambina di sette anni e oggi regista quarantatreenne, cerca di ricostruire attraverso l’atto coraggioso di un film – la sua opera prima – sui morti di destra qualcosa che nessuno ha mai fatto finora, quello che accadde prima, durante e dopo quegli omicidi. La chiave per aprire il forziere che custodisce la memoria collettiva di episodi che molti, troppi, ad iniziare dal sindaco Marino, si rifiutano ostinatamente di leggere con lo sguardo teso alla verità, è, appunto, un film. Romanzato. Ma terribilmente aderente alla realtà di quegli anni, alla cronaca di quello che accadde quel giorno tremendo fra la porta in ferro della sezione di via Acca Larentia e le scale che Francesco Ciavatta cercò, disperato, di guadagnare per uscire sulla strada. E sperare così di salvarsi dalla morte certa. Sangue sparso si chiama il film. Lo proietteranno in anteprima il 12 giugno prossimo al cinema Lux di via Massaciuccoli, a Roma. E poi via via in altre sale in Italia.
Racconta la storia della strage con un flashback. Un uomo passeggia pensieroso per il quartiere romano del Tuscolano, i suoi ricordi corrono a trent’anni prima. E prendono forma via via. Le contrapposizioni, gli scontri, i volantinaggi con il rischio quotidiano di essere ammazzati. I camerati morti, quel sangue sparso sul selciato. Una, due, tre, decine e decine di volte. Ma, d’altra parte, lo slogan più urlato era “Uccidere un fascista non è reato”. Finì così che troppi morti non ebbero mai giustizia. Sarebbe stato persino facile trovare e prendere i colpevoli di quegli omicidi. Ma non fu fatto. E fatalmente, di fronte all’ingiustizia, ideologica, palese, vigliacca, testardamente a senso unico, sangue chiamò sangue. «Volevo raccontare queste storie viste dall’altra parte anche se per me – dice la regista Emma Moriconi che è anche sceneggiatrice e autrice del soggetto – quando muore un giovane, di destra o di sinistra, è sempre una tragedia. In questi casi sono tutte vittime innocenti, vittime per caso. Militanti che volevano combattere per un’idea». «Di quegli anni – aggiunge Emma Moriconi – si ricordano solo fatti come il caso Moro, la strage di Bologna. E di tante vittime invece non si parla mai. La cosa che mi inorgoglisce davvero è il riconoscimento del mio film come opera di interesse culturale da parte dei Beni Culturali, sono davvero grata al ministero. Vuol dire che non è mai troppo tardi riappropiarsi di una parte trascurata della storia».
«Ho vissuto quegli anni – gli fa eco Francesco Storace – e mai avrei immaginato che ci sarebbe stata la possibilità di tradurli in un’opera riconosciuta di interesse culturale persino dal ministero competente».Chissà se, nelle ultime file, nascosto dal buio del cinema, a vedere Sangue sparso si siederà qualcuno di quei magistrati che, vergognosamente, negarono giustizia a quei tanti morti, a quel sangue comunque sparso non invano.

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