Riforme, nuova fronda nella maggioranza per “salvare” il Senato. Forza Italia blocca l’asse Pd-Grillo
Nuova fronda nel Pd sul terreno delle riforme: trentacinque senatori, di cui 18 della maggioranza (16 del Pd, più Mario Mauro e Salvatore Buemi) hanno depositato un sub-emendamento che ripropone il Senato elettivo. A rischio non è tanto il voto in Commissione quanto quello in aula. Una grana che Renzi, dopo aver silurato Mineo e Mauro, non aveva evidentemente previsto.
In una conferenza stampa alla quale hanno preso parte Vannino Chiti, Falice Casson, Mario Mauro, Francesco Campanella e Loredana De Petris è stato riferito che oltre all’emendamento sull’elezione diretta del Senato, ne sono stati presentati altri, per un numero complessivo di 14 proposte. Esse si riferiscono agli emendamenti presentati dai relatori in Commissione Affari costituzionali del Senato, e saranno quindi votati in quella sede, dove la maggioranza non ha problemi a prescindere dall’accordo con Fi e Lega. I problemi sorgerebbero invece in aula, dove il governo Renzi ha ottenuto 169 voti al momento della fiducia. Se i 18 non votassero (su un emendamento poi sono 19) diventerebbero determinanti i voti degli altri partiti, come Fi e Lega. Tra i 14 emendamenti ve ne è uno che ripristina quasi il bicameralismo perfetto. Infatti attribuisce al Senato poteri legislativi non solo sulle riforme costituzionali (come fa anche il ddl del governo), ma anche su una serie di altre materie che potrebbero essere ampliate: rapporti con la Chiesa cattolica e le altre confessioni; la condizione giuridica dello straniero, le libertà personali; la libera manifestazione del pensiero; le garanzie processuali; la tutela della salute; diritti politici e sindacali; casi di incandidabilità, ineleggibilità e conflitto di interessi; norme sul referendum, il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, la magistratura ordinaria, il Csm; l’esercizio della giurisdizione; la Corte costituzionale. Inoltre per tutte le altre leggi approvate solo dalla Camera, se il Senato chiederà modifiche con una determinata maggioranza, Montecitorio potrà respingere tale richiesta solo con una identica maggioranza (nel ddl del governo basta la maggioranza assoluta).
Sul fronte della legge elettorale, invece, oggi è Forza Italia a mettersi di traverso a qualsiasi ipotesi di accordo tra i Cinquestelle e il Pd sulle “preferenze” o su altri punti: «L’Italicum è la base da cui si parte, ci si ferma e si arriva. Per noi c’è solo quello», afferma il capogruppo FI al Senato, Paolo Romani, al termine di una riunione del gruppo azzurro a Palazzo Madama. E a chi gli chiede dell’apertura sulle preferenze emersa ieri nell’incontro tra Matteo Renzi e la delegazione dei 5 Stelle, Romani afferma: «Non esiste, ma in realtà il Pd ne parla meno di noi».