Iraq, Obama molla la “patata bollente” a Teheran (anche perché la Casa Bianca si è già scottata…)
Certo, chi si è scottato con l’acqua bollente, ora ha paura anche dell’acqua fredda. È il caso del presidente americano Barack Obama che esclude un nuovo intervento militare statunitense in Iraq, ben cosciente del fatto che il popolo americano, dopo le disastrose esperienze di Afghanistan, Libia e dello stesso Iraq, non lo seguirebbero più. Però l’escalation della violenza in Iraq, i cui problemi sono ben lungi dall’essere stati risolti con i vari interventi internazionali, mette in un certo senso alle corde l’amministrazione americana, responsabile dell’intera strategia mediorientale. Ma c’è anche una sorda polemica con le autorità irachene, che ogni tanto riemerge nelle parole del capo della Casa Bianca. La decisione di ritirare tutte le truppe americane dall’Iraq nel 2011 non fu nostra – ha detto – ma del governo di Baghdad che negò l’immunità ai nostri soldati: lo ha detto il presidente americano, Barack Obama. Pertanto, le forze americane non torneranno a combattere in Iraq, ha detto in diretta tv. Anche se gli Stati Uniti sono pronti ad «azioni mirate» in Iraq se e quando dovessero rendersi necessarie. Ma l’incalzare della situazione sul terreno ha spinto il presidente a ricordare che «l’Isis è una minaccia per il popolo iracheno, la regione e gli Stati Uniti. Siamo pronti a inviare fino a 300 “consiglieri militari” in Iraq», precisando però che l’invio di detti consiglieri sicuramente «non è un primo passo per un coinvolgimento più ampio di truppe da combattimento americane», anche se comunque gli States stanno lavorando per rendere sicura l’ambasciata e il personale americano in Iraq. Insomma, «una guerra civile in Iraq va prevenuta» – ha aggiunto – sottolineando che serve un piano politico per il futuro del Paese. Ed ecco la polemica ritornare, accennata: «Gli Stati Uniti resteranno vigili ma non è il nostro lavoro scegliere i leader dell’Iraq (anche se non lo si sarebbe detto quando fu spodestato Saddam Hussein, ndr). Non ci sono dubbi sul fatto che ci siano profonde divisioni settarie, ma chiunque sia il leader dell’Iraq dovrà unire», afferma Obama, sottolineando che i leader iracheni devono avere un’agenda inclusiva e superare le differenze, perché poi «non possiamo consentire che l’Iraq diventi un paradiso sicuro per i gruppi estremisti». Solo verso la fine del discorso è emersa chiaramente la strategia dell’amministrazione statunitense: «Non abbiamo la capacità di risolvere la situazione con migliaia di truppe: non c’è una soluzione militare per l’Iraq, ma servono partnership efficaci per combattere i gruppi terroristici». Eccoci: «L’Iran può giocare un ruolo costruttivo in Iraq se invia il nostro stesso messaggio e se evita di incoraggiare le divisioni fra le sette», ha “lanciato” Obama, pur ammettendo che ci sono «profonde differenze su molti temi» con l’Iran. In questo Obama ha semtnito in parte il suo segretario di Stato John Kerry, che in ogni caso partirà nel fine settimana per una serie di incontri nella regione mediorientale, per aumentare gli sforzi diplomatici che possano portare a una soluzione della crisi in Iraq. Obama ha rivelato che gli Usa stanno già lavorando con tutti gli alleati moderati per mettere a punto strategia comune, anche sul fronte della lotta al terrorismo. Kerry, poche ore prima del discorso in diretta tv di Obama aveva affermato che l’amministrazione Obama puntava soprattutto su colloqui ad alto livello e sulla diplomazia, ribadendo tuttavia che l’ipotesi di lavorare direttamente assieme all’Iran oggi «non è sul tavolo». In un’intervista alla Nbc, Kerry ha affermato che «siamo interessati a comunicare con l’Iran per uno scambio di informazioni, così le persone non fanno errori», aggiungendo però che una collaborazione diretta con Teheran «sarebbe un grattacapo». Il suo capo però ha aggiuntato il tiro: lasciare la “patata bollente” nelle mani di Teheran risolverebbe più di un problema a Washington…