Il “pentito” Iovine annuncia la fine del clan dei Casalesi. Quando la realtà è migliore di “Gomorra”

13 Giu 2014 18:40 - di Antonella Ambrosioni

Una volta tanto la realtà supera la fiction in meglio. All’inferno di Gomorra c’è speranza. Forse. Checché ne pensi Saviano. Almeno sembra, a giudicare da un curioso cortocircuito innescato dalle parole dell’ex capoclan dei Casalesi

Antonio Iovine – feroce criminale, pluriomicida – ora collaboratore di giustizia, durante l’ultima udienza del processo in corso a Santa Maria Capua Vetere. «Ritengo che il Clan dei Casalesi non esista più». Ancora: «Il clan dei Casalesi non ha futuro», ha aggiunto l’ex boss, spiegando di aver compreso, «fin dalla latitanza, che il gruppo criminale di cui era a capo non aveva un futuro». Il cortocircuito nasce dal fatto che queste parole arrivano a breve giro di posta dalla conclusione trionfale dell’ultima puntata della serie Gomorra in onda su Sky, di cui è stata appena annunciata una seconda serie. La fiction è un cazzotto allo stomaco, mostra tragedia e cattiveria allo stato puro, vive e vegete, criminalità cieca, inferno profondo, il Male contro il Male. Realizzata con grande qualità – di qui il successo di  pubblico –  ha per protagonisti i Savastano e i loro uomini, camorristi e uomini di camorra che pur di fare soldi (“Il denaro non ha bandiere”) sono pronti a tutto. Tutta la narrazione diventa un gioco volto alla distruzione e all’autodistruzione. Proprio mentre l’ultima puntata della serie tv “celebrava” l’apoteosi criminale di un mondo livido e senza speranza di redenzione, le parole di Iovine, sembrano dirci che la realtà criminale sta cambiando, anzi, che sarebbe in disarmo, senza futuro. Segnaliamo che Gomorra oltre a tanti complimenti ha ricevuto anche critiche: la più ficcante è stata quella di Marco Demarco sul Corriere del Mezzogiorno: «Mai una contaminazione con l’altra Napoli, quella che si rivolge all’avvocato prima che al killer; o che fa la coda per vedere una serigrafia di Andy Warhol. Il Male non combatte mai col Bene, secondo il più banale degli schemi, ma con un altro male, se è possibile ancora più malefico». Se il critico stigmatizzava la rappresentazione di una realtà «parziale» , Saviano nella sua replica difendeva ad oltranza questa impostazione: «La sfida era raccontare il male dal suo interno. Tutti cattivi? Sì, in quel mondo non ci sono personaggi positivi, il bene ne è alieno. Nessuno con cui lo spettatore può solidarizzare, nel quale si può identificare. Nessun balsamo consolatorio. Nessun respiro di sollievo.  Nessuna salvezza per nessuno». Che proprio uno come Iovine smentisca il “mondo secondo Saviano” è a dir poco curioso. Se il clan dei Casalesi è un mondo al suo epilogo, preferiamo senza dubbio la realtà a Gomorra.

 

 

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