L’agonia della Seconda Repubblica non risparmia la Procura di Milano

21 Mag 2014 15:52 - di Mario Landolfi

Se c’è un luogo che più e meglio di ogni altro può simboleggiare il trapasso dalla Seconda Repubblica a una Terza verosimilmente ancor più confusa e potenzialmente robesperriana, è senza dubbio la Procura di Milano. Fu esattamente lì, tra quelle mura, che poco più di vent’anni fa, il ceto politico italiano – in forme alquanto selettive secondo alcuni maligni bene informati – cominciò ad assaggiare sulla propria pelle i colpi di frusta dell’incipiente protagonismo giudiziario, che proprio nella declinazione del “manipulitismo”meneghino cercò e trovo legittimazione politica nazionale. La saliva agli angoli della bocca di un Forlani stressato dal furore inquisitorio di un Di Pietro impietosamente incalzante sulla maxitangente Enimont fece il giro nel mondo. Erano le prime prove tecniche del circuito mediatico-giudiziario, cioè la complice intesa tra toghe e giornalisti, che di lì a poco avrebbe stritolato il gotha del pentapartito di governo. Su quelle ceneri fumanti nacque l’era berlusconiana del bipolarismo, oggi agonizzante.

Ma l’agonia sembra non voglia risparmiare la Procura ambrosiana, emblema per anni di compattezza professionale, efficienza investigativa e persino di “indirizzo politico”, ma ora a rischio di essere percepita come una mefitica palude. L’aria al suo interno è carica di veleni. Tra il procuratore capo, Bruti Liberati, ed il suo aggiunto, Robledo, si combatte ormai una guerra senza esclusione di colpi. Una guerra che solo i tecnicismi annidati tra le pieghe delle ragioni dello scontro impediscono di evidenziare in tutta la sua reale portata. C’è poco ad arzigogolare,  uno tra i due mente. E questo la dice lunga sulla praticabilità di soluzioni pilatesche, cui solitamente ricorre il Csm di fronte a conflitti tra togati. Sia come sia, la “forza politica” della magistratura milanese ne uscirà compromessa.

Eppure è passato solo un anno da quando i parlamentari di Forza Italia manifestarono sulle scalinate di quel Palazzo di Giustizia quasi a ribadire la vitalità dello scontro tra conflitto d’interessi e supplenza giudiziaria, che per vent’anni abbiamo definito bipolarismo. Sembra passato un secolo: lo schema è cambiato e siamo alla vigilia della Terza Repubblica. Esattamente quella che baldanzosamente Grillo vuole inaugurare con processi popolari – cioè sommari – a carico di politici e giornalisti. Il protagonismo giudiziario introdotto dalle menti raffinate dei Borrelli, dei D’Ambosio e dei Davigo si avvia a diventare un pallido e persino gradevole ricordo al confronto del terrore plebeo annunciato dall’ex-comico. È proprio vero che il peggio viene sempre dopo.

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