Bersani diventa renziano, forse pensando al Colle

28 Mag 2014 13:21 - di Mario Landolfi

Chi temeva di dover ricorrere a massicce dosi di insulina per non soccombere di fronte a commenti zuccherosi dispensati all’indirizzo di Matteo Renzi dalla vecchia nomenclatura post-Pci, può stare tranquillo. Almeno a leggere l’intervista resa da Pierluigi Bersani al Corriere della Sera non c’è traccia di inversioni ad “u” nel sentimento della Vecchia Guardia verso l’attuale premier. Certo, non è più il Gianburrasca col vizietto del tradimento da sputtanare in ogni occasione ma non è ancora riverito come un “Piccolo Padre”. Dopotutto, eccedere nel “servo encomio” o proseguire nel “codardo oltraggio” non è affatto conveniente all’indomani di un trionfo elettorale ed alla vigilia di una tornata di nomine in Europa.
Ha scelto perciò un profilo mediano, Bersani, nel commentare il successo elettorale del Pd. E lo ha fatto alternando con consumata sapienza gli elogi da dispensare all’azione del premier alla orgogliosa rivendicazione del proprio percorso di leader. E così ascrive a merito della sua segreteria il rinnovamento dei gruppi parlamentari e persino il risultato del 2013. Per molti aveva sbagliato un rigore a porta vuota. Grazie a quel risultato – ribatte oggi Bersani – “Berlusconi non ha più potuto imporre leggi ad personam“. Tanto è vero che è addirittura fuori dal Parlamento.
È un Bersani in versione Cireneo: ha portato la croce e, se ora il Pd è risorto, il merito è anche suo. “Vada a rileggersi il famoso streaming”, suggerisce ad Aldo Cazzullo evocando forse la più dolorosa stazione della sua personalissima via crucis. Ricorda con esattezza le parole consegnate ai grillini: “Arriverà il momento in cui direte: avremmo potuto dire, avremmo potuto fare”. Quasi un profeta. Con i grillini Bersani voleva inaugurare una nuova stagione. E rivela: “Ero disposto anche a farmi insultare e irridere, pur di dimostrare che ero disponibile a un governo di cambiamento”. Tutto, invece, gli andò storto e l’eroe del rinnovamento è ora Matteo Renzi. “È stato bravissimo”, riconosce Bersani, che gli consiglia comunque “molta umiltà” nell’azione di governo. Quanto al doppio incarico – leader e premier – Bersani dispensa miele in cambio di collegialità: “Può farne anche tre. Ma non da solo”.
Ma, come sempre, il veleno è nella coda, nell’uno-due Italicum-Quirinale. Il primo va rivisto anche nel meccanismo della lista bloccata perché “non basta più dire che tanto noi facciamo le primarie”. Sul secondo prevede che la scelta del successore di Napolitano “sarà meno difficile” perché “ci sarà lealtà”. E chissà se, dicendolo, Bersani non abbia pensato di poter avere più fortuna come scalatore del Colle di quanto non ne abbia avuto come smacchiatore di giaguari.

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