Voto di scambio, una legge tra luci e ombre. Fu vera gloria?

16 Apr 2014 19:21 - di Oreste Martino

Tra ostruzionismo, urla e spintoni il Senato ha approvato in via definitiva la nuova legge sul voto di scambio. Un testo più volte modificato, giunto al traguardo in quarta lettura, certamente delicato perché interviene su un reato spesso impalpabile, i cui confini sono oggettivamente labili.

Fino ad oggi un politico rischiava il carcere per voto di scambio soltanto se emergeva il pagamento di una somma di denaro in cambio di un pacchetto di voti. Purtroppo la cronaca politico-giudiziaria ci ha abituati a casi del genere, ma alle maglie della magistratura sfuggivano molti intrecci tra politici e mafiosi perché il patto non riguardava denaro.

La vera novità della nuova legge è l’allargamento ad “altre utilità” per far scattare la fattispecie. Non serve più soltanto la dazione di denaro per comprare il voto, ma anche promesse di denaro o di altro tipo. Qualsiasi vantaggio farà finire i protagonisti dell’accordo nel reato di voto di scambio.

La norma ha suscitato molte polemiche sia tra i partiti sia all’interno della magistratura perché da  l’allargamento del resto ad “altre utilità” rende più pericolosa l’intemperanza di qualche procura, alla quale sarebbe più semplice utilizzare un rapporto di semplice conoscenza per avviare un procedimento. Questo rischio dev’essere stato valutato, tanto che è stata tolta dalle caratteristiche per individuare il reato la “messa a disposizione” del politico. Va detto che appare una scelta saggia, visto che basare un reato pesantemente punito su un concetto etereo come la “messa a disposizione” non sarebbe stato un fiore all’occhiello del nostro sistema giuridico e probabilmente avrebbe creato anche qualche problema in sede di applicazione, con abusi possibili.

Un altro motivo di contrasto sono state le pene. Alla fine chi sarà condannato per il reato di voto di scambio così come riformulato rischierà da quattro a dieci anni di carcere. Qualcuno, specialmente dall’estrema sinistra, parla di pene edulcorate, visto che la versione precedente prevedeva da 7 a dodici anni. In realtà l’abbassamento delle pene è stato giudicato positivamente da molti magistrati, ritenendolo adeguato alla nuova fattispecie del 416ter e tenuto conto che comunque per i casi più gravi esiste il 416bis con il concorso esterno severamente punito.

Sempre tra i contrari alla norma si sostiene che la sua efficacia sia stata sminuita dal fatto che per accertare il reato deve emergere che il voto è stato ottenuto con “metodo mafioso”, cioè con intimidazioni e minacce. Qualcuno voleva che qualsiasi richiesta, anche garbata, generasse il resto di voto di scambio, mentre alla fine il Parlamento ha trovato i paletti giusti per approvare una norma che serve a combattere gli intrecci perversi tra politica e mafia senza però mettere a rischio la libertà della politica di far campagna elettorale.

Alla fine il “bollino blu” che garantisce la bontà della legge approvata l’hanno messo due tra gli uomini maggiormente impegnati nella lotta alla mafia, il procuratore nazionale Franco Roberti, per il quale si tratta di “una norma perfetta”, e il nuovo commissario anticorruzione Raffaele Cantone, che l’ha definita “una norma fatta bene”. Queste due garanzie dovrebbero bastare per ritenerla un passo in avanti nella lotta alla criminalità organizzata.

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