Libri. Il mestiere del libraio, generazioni a confronto, curarsi con la storia, una strega in Bretagna, due filosofi pessimisti ma veri: Leopardi e Schopenhauer

22 Apr 2014 16:12 - di Renato Berio

Librai in trincea, librai da salvare, nonostante gli e-book. In difesa di un mestiere, sei suoi segreti e delle sue capacità di entrare in relazione con l’umanità due librai, Massimiliano Timpano e Pier Francesco Leofreddi, hanno messo nero su bianco la loro esperienza. Non è il primo libro del genere che viene scritto ma è senz’altro anch’esso utile a testimoniare la vitalità di una professione che, ci si augura, ancora non ha i giorni contati. Chiuso per Kindle è un viaggio nella vita quotidiana di una libreria, un’irresistibile galleria di clienti raccontata da chi lavora dietro la cassa, la cronaca senza omissioni delle cattive abitudini dell’editoria nell’era del best seller a tutti i costi. Ma è anche, e soprattutto, un atto d’orgoglio nei confronti di un mestiere insostituibile, che nessun tablet potrà sconfiggere. (M.Timpano-P.F.Leofreddi, Chiuso per Kindle, Bompiani, pp.171, euro 9,50)

Ogni generazione condivide il destino del proprio tempo, recupera il passato e si proietta nel futuro. La morte implica la trasmissione dei beni materiali da una generazione all’altra, ma quanto si riceve in eredità non sono soltanto cose: un intero mondo di simboli e principi si perpetua e si trasforma in questo passaggio secondo la prevalente logica del dono e della restituzione. Come è mutato il concetto di generazione nella società “liquida”? Oggi i ritmi di crescita sono divenuti individuali, non ci sono più gli obblighi che un tempo vincolavano le generazioni a ruoli sociali prestabiliti. Ma questa estrema libertà di relazionarsi comporta anche un ombroso rovescio della medaglia: dal mito dell’eterna giovinezza alla perdita di autorità degli anziani e dei genitori. (Remo Bodei, Generazioni. Età della vita, età delle cose, Laterza, pp. 114, euro 14)

Il malessere della modernità può essere curato con la storia. Il passato è la terapia giusta per capire che, a dispetto della valanga di informazioni ansiogene in cui siamo immersi, stiamo vivendo uno dei momenti più positivi, confortevoli e ricchi di opportunità dall’apparizione dell’uomo sulla terra: rendersene conto significa sentirsi già meglio. Un libro sicuramente ottimistico, questo manuale di storioterapia, ma anche un metodo assai economico e in fondo sempre praticato all’insegna del motto secondo cui la storia è maestra di vita e in questo caso può diventare addirittura un antidepressivo efficace per ritrovare la gioia di vivere nel presente. (Lia Celi-Andrea Santangelo, Mai stati meglio, Utet, pp. 236, euro 12)

Febbraio 1852. In alcuni poveri villaggi della Bretagna spazzati dal vento dell’Atlantico, gli abitanti credono ancora ad antiche e macabre leggende. È così che Hélène Jégado inizia a credere ad Ankou – il Dio della morte – uno spirito maligno che si incarna nelle persone più insospettabili e le costringe a fare qualunque cosa. Anche le più spaventose. E, quando la fantasia si mescola con la follia, niente può impedire a Hélène di immedesimarsi in quella divinità, e decidere di esserne la voce e il braccio. Diventata una cuoca esperta, Hélène inizia a girare la nazione lasciando dietro di sé una scia di cadaveri. Il primo è quello della madre. Ma non mancano uomini, bambini, prostitute e persino uomini di chiesa. Per ognuno di loro, la donna usa la stessa tecnica: si presenta come la più placida e silenziosa delle domestiche, prepara cibi e pietanze succulenti dentro cui nasconde una polvere di arsenico e, quando la vittima inizia a sentirsi male, se ne prende cura fino alla morte, come il più terribile degli angeli consolatori. La lunga catena di omicidi, però, – ben trentasette – si interrompe quando la donna rivolge le proprie «attenzioni» a un giudice, che capisce subito di avere di fronte un’assassina e la denuncia alle autorità. Confessate le sue responsabilità, Hélène viene condannata alla ghigliottina, dove morirà il 26 febbraio 1862. In una Francia rurale in cui regnano povertà e violenza, Jean Teulé mette in scena la vera storia di uno dei personaggi più incredibili e sconosciuti della Francia dell’Ottocento. (Jean Teule, Fiore di tuono, Neri Pozza, pp. 288,  euro 17)

Leopardi e Schopenhauer. Tra loro ci fu un significativo dialogo “senza parole”, oltre il chiasso che si faceva intorno. Leitmotiv: il pessimismo esistenziale, la convinzione che il male tenga l’uomo tra le grinfie, male che si esprime come caducità, fragilità, erranza (quel girovagare mesto del pastore dell’Asia appeso all’incanto di un raggio di luna). Ma, accanto a questo “pensiero dominante”, molte e varie sono le verità di cui ragionano Schopenhauer e Leopardi, sconfinando dalla schietta contemplazione del vuoto al terreno virtuoso della politica. Grandi reazionari, entrambi. Convinti di abitare un secolo mortificato dalle masse. (Giuseppe De Lorenzo, Leopardi e Schopenhauer, edizioni di Ar, euro 10)

 

 

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