Un Senato di clochard della politica: fantasia che resterà tale. Ma resta la necessità di riformarlo
Archiviate le “quote rose”, la legge elettorale marcia – almeno così sembra – verso la meta finale. Poi, naturalmente, approderà in Senato e qui cominceranno le dolenti note. Non saranno pochi i senatori che in cambio dell’approvazione chiederanno lumi sulla “trasformazione” della Camera Alta. Ed il governo, a quel che trapela, non sembra intenzionato ad intestarsi la riforma, sia pure offrendo linee-guide, ed a lasciarla correttamente nelle mani del Parlamento dal momento che è materia che compete a questi e non all’esecutivo.
Al progetto stanno comunque lavorando soprattutto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Delrio e la ministra Boschi. Si dice che vogliano rimettere in pista le conclusioni formulate dai “saggi” nominati dal Quirinale per rendere meno indolore quella che è una smobilitazione sia pure travestita da Camera consultiva. Ma, per quanto attingano ai lavori preparatori, sembra proprio che difficilmente verranno a capo di qualcosa in cui tutto il Senato (attuale) si possa riconoscere. Intanto è già cambiato l’assetto che dovrebbe avere. Non più la presenza di 108 sindaci, ma soltanto presidenti di Regioni e delegati dei consigli regionali ai quali – ma che bizzaria – subentrerebbero i primi dei non eletti. Dal momento che i membri di un tale Senato dimezzato, per espressa volontà del premier e di chi ha condiviso la sua proposta, non percepiranno emolumenti di sorta (meno, forse, le spese di viaggio e di soggiorno), francamente non ce li vediamo i consiglieri regionali, munificamente stipendiati, lasciare i loro scranno per offrirlo a qualcun altro, motivati dal solo “spirito di servizio”.
E’ tutto così improvvisato, estemporaneo, demagogico. Fa effetto sostenere la chiusura di una delle due Camere legislative per limitare i costi della politica ed evitare lungaggini e sovrapposizioni nell’approvazione delle leggi. Ma, se veramente si vuole perseguire un tale intento, bisogna inventarsi un altro ruolo per il Senato che al momento nessuno ha capito da una proposta volutamente vaga e confusa. E, allo stesso tempo, immaginare un “reclutamento” meno ridicolo di quello prospettato, dal momento che le competenze che verrebbero attribuite ai rappresentati delle Regioni potrebbero essere espletate dagli stessi nei loro ambiti originari senza bisogno di arrivare a Roma. In altri termini la Conferenza Stato-Regioni basta e avanza allo scopo.
Diverso sarebbe il caso se il Senato venisse eletto con metodo indiretto, cioè dalla Camera dei deputati ed integrato da una quota indicata dal Capo dello Stato (qualora questi non fosse espressione dei partiti, ma del popolo) e dalle rappresentanze sociali (come avviene per il Cnel che dunque verrebbe sciolto senza rimpianto): allora potrebbe avere un senso ed essere riempito di competenze non strettamente legislative e neppure deputato ad esprimere la fiducia al governo. Diverrebbe insomma una Camera delle competenze che arricchirebbe di saperi, conoscenze, esperienze il lavoro dei deputati che su particolari temi (sicurezza, difesa, economia e finanza, politica internazionale, autonomie locali) potrebbero affidarsi ad un organismo consultivo di alto livello non suscettibile di essere delegittimato dalle logiche partitocratiche. E’ naturale che per accedervi i prescelti dalla Camera dovrebbero ottenere maggioranze qualificate proprio per evitare di essere espressione diretta di partiti politici.
Mi domando perché una tale ipotesi non sia mai stata presa in considerazione. Eppure giuristi come Costantino Mortati la caldeggiarono, sia pure in forme lievemente diverse, ma ispirata allo stesso principio, ai tempi della Costituente ed anche dopo, perdendo ogni speranza quando il sistema partitocratico si consolidò al punto di spegnere ogni voce di dissenso contro l’occupazione dello Stato da parte delle formazioni politiche. Avrei sperato che quel che rimane della destra in Parlamento (un piccolo gruppo ed alcune individualità sparse) si facesse carico di una proposta del genere – almeno nelle grandi linee – al fine di non privare la rappresentanza di una componente, ma di migliorarla. Gli esempi non mancano. Dalla Camera dei Lord britannica alla Camera Alta giapponese, al Senato francese e a quello spagnolo. Chi dice che solo in Italia c’è il bicamerismo sbaglia. In Italia c’è purtroppo il “bicameralismo perfetto” che paralizza l’attività legislativa o, almeno, ad essa nuoce gravemente. Sarebbe meglio cambiare. Ma con giudizio, naturalmente.