Ucraina, non passa al Consiglio di Sicurezza la risoluzione anti-russa voluta dagli Usa: ora è muro contro muro

15 Mar 2014 20:21 - di Giovanni Trotta

La linea scelta dall’Occidente, in particolare da Stati Uniti e Unione europea, nei confronti della crisi Ucraina, ossia quella del muro contro muro con Mosca, sembra non portare a nulla. Fallisce infatti l’approvazione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di una risoluzione anti-russa, per il veto della Russia stessa e l’astensione della Cina. La risoluzione avrebbe voluto dichiarare «illegale» il referendum democratico che si terrà domenica in Crimea relativo all’indipendenza della regione russofona autonoma, referendum varato in base al principio di autodeterminazione dei popoli. Quando il Kosovo si autoproclamò indipendente, non ci fu nessuna chiamata alle armi da parte dei difensori mondiali della democrazia. Stavolta è diverso, a quanto pare. Ovviamente, il ricorso alle minacce (sanzioni, ammonimenti e quant’altro), ai diktat contro Mosca, all’associazione frettolosa dell’Ucraina alla Ue che sarà firmata il 21 marzo, non ha potuto fare altro che peggiorare le cose sul  terreno, e ancora le farà peggiorare: l’Ucraina ha infatti accusato la Russia di aver invaso militarmente il proprio territorio nella regione di Kherson, al confine con la Crimea. Il ministero degli Esteri di Kiev chiede il ritiro immediato delle forze russe e minaccia di rispondere «con tutti i mezzi per fermare l’invasione militare». Secondo il governo di Kiev, le truppe di Mosca sono arrivate nei pressi del paesino di Arbatskaia Strelka (vicino a Ghenicelsk) con circa 80 soldati, quattro elicotteri e tre mezzi blindati. Da parte sua il ministero della Difesa di Kiev sostiene che le forze armate ucraine hanno «respinto immediatamente» le truppe russe arrivate nella zona. Anche questo non è chiaro: in Ucraina c’era un presidente regolarmente eletto, Viktor Ianukovich, che è stato deposto nei giorni scorsi dopo i moti di piazza. Ora all’esecutivo di Kiev c’è – non si sa a quale titolo – un amico di Julia Timoshenko, una delle donne più ricche del mondo nonché ex pasionaria ai tempi della cosiddetta rivoluzione arancione nonché ex premier ucraino. La stessa Timoshenko, che stava scontando una condanna a sette anni per malversazione di fondi pubblici, è stata immediatamente rilasciata dopo i disordini. Sembra anche che una folla di filorussi abbia tentato di irrompere nella sede dei servizi segreti ucraini (Sbu) a Donetsk, nella russofona Ucraina orientale. I manifestanti – che chiedevano la liberazione dell’autoproclamato governatore filorusso di Donetsk, Pavel Gubarev – sono riusciti a sostituire la bandiera ucraina con quella della “Repubblica di Donetsk” prima di essere respinti dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa. Comunque neanche la sconfitta in Consiglio di Sicurezza ha ridotto a più miti consigli gli Stati Uniti, che anzi rilanciano: «La Russia dovrà rispondere delle sue azioni, e potrebbe essere soggetta ad un isolamento diplomatico ed economico», ha infatti minacciato l’ambasciatrice americana all’Onu, Samantha Power, precisando che se verranno confermate le accuse di Kiev sulla presenza di truppe russe sul territorio nazionale si tratterebbe di «una escalation scandalosa». Dopo il voto a Palazzo di Vetro, comunque, l’ambasciatore cinese all’Onu, Liu Jievy, ha lanciato un appello alle parti affinché «si astengano da azioni che potrebbero far degenerare la situazione». Il diplomatico di Pechino ha quindi sottolineato la necessità di «agire nel rispetto della legge», esprimendo però preoccupazione per «una situazione molto complessa».

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