Sos Caffè della Pace. Anche la politica si muove per salvare dallo sfratto “un monumento” storico di Roma

20 Mar 2014 13:03 - di Romana Fabiani

L’Antico Caffè della Pace, in vita dal 1891 nel cuore di Roma a due passi da Piazza Navona, rischia la scomparsa. L’Sos dei gestori e l’allarme che serpeggia tra i frequentatori abituali, intellettuali alle prese con il primo manoscritto davanti a un long drink, anziane signore che fumano immerse nella lettura davanti ai pasticcini, giovani che assaporano la movida pomeridiana in un’atmosfera unica, è stato lentamente raccolto dal mondo della politica per scongiurare la chiusura. Si intensificano gli appelli per salvare il locale diventato nel corso degli anni il punto di ritrovo di artisti, intellettuali, uomini e donne dello spettacolo, insomma un pezzo dell’identità culturale della Città Eterna. La sua atmosfera unica è a rischio sopravvivenza per la decisione del proprietario del palazzo, l’Istituto Teutonico di Santa Maria dell’Anima, di sfrattare la famiglia Serafini per destinare le mura ad altri usi che spegneranno le luci eleganti della piazzetta dove Ungaretti, Monicelli, Fellini hanno consumato i loro tè discettando di arte. È di ieri l’appello bipartisan al prefetto di Roma per trovare una soluzione al pasticciaccio brutto che si trascina dallo scorso giugno. «Vogliamo un confronto con il Prefetto Giuseppe Pecoraro – hanno spiegato Daniela Valentina del Pd e Maurizio Gasparri di Forza Italia – perché attraverso la tutela di un’attività così importante si eviti la perdita di identità della nostra città. Abbiamo chiesto anche al governo attenzione su questo tema». Agli atti finora un vertice in Campidoglio e un’interrogazione al ministro Franceschini  per sollevare l’assurda vicenda che accomuna il destino del Bar della Pace ad altri “monumenti” romani come la stamperia Trevi e l’antica camiceria Bazzocchi. Se nelle ultime settimane la politica è in fermento, da subito la famiglia Serafini, che da quarant’anni gestisce il locale, si è attivata mobilitando gli amici della bottega storica per sottoscrive l’appello contro la chiusura. L’obiettivo è raggiungere quota cinquantamila, spiega Daniela Serafini, vedova di Mario e mamma di Alessandro e Daniela, che si è appellata al sindaco Marino e persino a papa Francesco («visto che è un istituto religioso a darci lo sfratto») per mantenere in vita uno dei ritrovi più amati da romani e turisti, che negli anni ’80 è stata la meta preferita del jet set italiano e internazionale, da Madonna a Spike Lee, da Monica Bellucci a Mel Gibson. Tante le adesioni di chi ha firmato ai tavolo dello storico bar (meritandosi un flute di prosecco gratis) o attraverso il web che ha fatto rimbalzare sui social il tam tam per il salvataggio. «Si deve difendere questa attività, che non è solo commerciale, ma un bene culturale. Che peraltro dà lavoro a oltre trenta famiglie. Del resto sono proprio realtà come queste a contribuire alla grande bellezza di Roma», ripete da mesi Giulio Anticoli presidente dell’Associazione Botteghe Storiche, che ha scritto al presidente Napolitano per salvare un vero e proprio monumento della capitale, dove ancora si respirare l’atmosfera magica della dolce vita.

 

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