Luxuria fa lezione sull’identità gender? Allora a scuola si legga anche la storia di Bruce-Brenda
Cosa fare per contrastare l’ideologia gender? Il movimento Le manif pour tous propone un vademecum per genitori, il Foglio ora lancia una provocazione: portare nelle scuole il libro Bruce, Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza (Ed. San Paolo), tradotto in italiano dopo essere stato un caso negli Stati Uniti. Lo spunto per la proposta è stato l’incontro che Vladimir Luxuria avrebbe dovuto tenere in un liceo di Modena e che è saltato per le proteste degli stessi studenti, di fronte ai quali non era stato previsto alcun tipo di contraddittorio e che, quindi, si sarebbero trovati ad assistere a una sorta di lectio magistralis sulle tematiche Lgtb. Il libro Bruce, Brenda e David, scritto dal giornalista John Colapinto, invece racconta la storia drammatica di Bruce Reimer che a otto mesi fu evirato per un errore chirurgico e che fu educato come una bambina dopo che i genitori, disperati, scoprirono l’esistenza dello psicologo John Money, padre della teoria della “gender identity”. Erano gli anni tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta. Secondo Money, le differenze tra uomo e donna sarebbero frutto esclusivo dei condizionamenti culturali. Per questo, nella sua visione, educare Bruce come Brenda avrebbe risolto tutti i problemi. In virtù di questa teoria, il bambino fu anche sottoposto a un intervento chirurgico e a terapie ormonali, che però non riuscirono mai a cancellarne la vera identità sessuale. Bruce-Brenda sviluppò e manifestò tendenze suicide, finché, ormai adolescente, non scoprì la ragione del suo disagio e decise di sospendere la terapia ormonale e operarsi nuovamente per tornare uomo e diventare David. Morì comunque suicida a 39 anni, nel 2004. Money, intanto, aveva ricevuto premi e realizzato una brillante carriera accademica, soprattutto in virtù della divulgazione scientifica del caso e nell’assoluta noncuranza delle sue teorie su una libertà sessuale che non conosceva alcun limite, compreso quello della pedofilia.
Dalla teoria del gender di Money si è passati a «qualcosa a metà fra la scienza e l’ideologia», come diceva Lucetta Scaraffia in un convegno di Scienza & vita del 2008. «Un incrocio – spiegava ancora la storica – fra una dottrina che vorrebbe essere scientifica, ma che scientifica non è, e, diciamo così, un bisogno politico che la tramuta in ideologia». Sull’ideologia del gender, ovvero del genere indistinto, poi, si sono stratificate anche teorie di segno diverso, ma tutte improntate all’idea che la natura e il corpo siano fattori variabili e che tutto, nelle questioni di identità sessuale, attenga esclusivamente a ciò che si desidera o che si riesce a essere. Teorie che, con il tempo, si sono radicate e hanno portato all’idea che tanto più la società riuscirà a plasmarsi su questo relativismo tanto più riuscirà a essere equa, sana e garante dei diritti. È figlia di questa stessa visione anche una proposta avanzata in ottobre dal reparto di medicina della sessualità e andrologia dell’ospedale Careggi di Firenze per bloccare la pubertà di quei bambini che presentano una disforia di genere, ovvero un’identificazione nel sesso opposto a quello biologico. Questa proposta, presentata al consiglio sanitario della regione Toscana, sembra basarsi sulle ultime teorie in fatto di identità sessuale che tendono a dire che l’omosessualità non è né una scelta né un condizionamento culturale, ma un dato genetico. Che, insomma, omosessuali si nasce. Questa visione è sostenuta da tempo anche da parte del mondo omosessuale e ora trova una “ratifica” in una ricerca presentata proprio in questi giorni dall’American association for the advancement of science, secondo la quale il fattore genetico incide in almeno il 30-40% dei casi di omosessualità. Come l’esperimento su Bruce Reimer, però, anche questa strada rischia di avere risvolti drammatici, perché l’estrema conseguenza logica della natura genetica e della medicalizzazione degli interventi fin dall’infanzia è che se si può intervenire sull’omosessualità per assecondarla in un verso lo si può fare anche per bloccarla nell’altro. Quindi, che può tornare a essere paragonata a una malattia.
È una strada che rischia di non portare nulla di buono e che presta il fianco a ulteriori radicalizzazioni di un dibattito che è diventato scontro proprio da quando s’è fatto ideologico. Da quando, per dirla ancora con la Scaraffia, il tema dell’identità sessuale è diventato oggetto di «un bisogno politico», che recupera in questo modo l’«utopia dell’uguaglianza» andata persa sui piani «economico e sociale».