Italicum: i franchi tiratori del Pd rischiano di rafforzare l’asse Renzi-Berlusconi

12 Mar 2014 18:56 - di Oreste Martino

Matteo Renzi è riuscito nell’impresa di vedere approvato l’Italicum alla Camera. Alla fine l’accordo con Berlusconi ha retto, nonostante il suo Pd gli avesse preparato il “trappolone” col voto segreto, così, giusto per fargli capire che le leadership forti non piacciono al partito di Via del Nazareno. Il premier ha reagito in maniera plateale, ha detto “volevano farmi fuori” ed ha annunciato di aver vinto e di voler continuare speditamente con l’obiettivo di “disintermediare”. Ha usato proprio il termine “disintermediare”, tipico delle ristrutturazioni aziendale quando arriva un manager chiamato a tagliare le teste dei vecchi dirigenti per restare solo al comando, senza mediazione tra il capo e la struttura aziendale. Renzi ha detto con candore ciò che a sinistra non piace e che soltanto a destra viene apprezzato. Ha detto che vuole “disintermediare” il Partito democratico, quindi non farlo contare nelle decisioni, ma vuole “disintermediare” anche la Confindustria che lo critica perché mette mano ai conti pubblici senza interpellarla e anche la Cgil, che vede cambiare le buste paga dei suoi iscritti senza prima essersi seduta al tavolo fingendo di aver avuto un ruolo.

A rispondere al segretario democratico ci ha pensato il suo predecessore Bersani, annunciandogli che al Senato i parlamentari del Pd cambieranno la legge sulle quote rosa, piaccia o no all’inquilino di Palazzo Chigi. È evidente che le parole di Bersani producono due effetti che di qui a breve si manifesteranno. Il primo effetto del proclama bersaniano sarà che una parte dei senatori proverà a far saltare la riforma, anche al fine di impedire che poi si metta mano all’abolizione del Senato che dalle parti di Palazzo Madama non riscuote alcun consenso, visto che a nessun tacchino piace anticipare il Natale. Il secondo effetto sarà invece quello di buttare Renzi ancor più tra le braccia di Berlusconi, i cui voti rappresenteranno a questo punto l’unica possibilità per farcela.

Nonostante l’asse toscano con Verdini funzioni, da qui al voto della legge elettorale al Senato potrebbero cambiare le carte in tavola. L’aula di Palazzo Madama si esprimerà dopo che Berlusconi avrà saputo il suo destino, appeso all’udienza fissata per il 10 aprile dinanzi al Tribunale di sorveglianza di Milano. Il clima potrebbe diventare incandescente e il Cavaliere potrebbe decidere di affossare egli stesso la legge elettorale, palesemente o con franchi tiratori che si aggiungerebbero a quelli del Pd. A quel punto Renzi resterebbe col cerino in mano, il suo partito lo accuserebbe di fallimento per eccessivo appiattimento sull’asse con Forza Italia, mentre da destra punterebbero l’indice sulle divisioni interne alla sinistra. Una débâcle sul pilastro del processo riformatore potrebbe far precipitare gli eventi e portare al voto con la legge vigente, il Porcellum modificato dalla Corte Costituzionale, col quale nessuno avrebbe la maggioranza e che porterebbe inevitabilmente a un governo di larghe intese.

Il rischio di chi vuol far fuori Renzi, quindi, è consegnarlo ancor più a Berlusconi. Chi ha organizzato i franchi tiratori ha dato più potere negoziale al Cavaliere per il passaggio al Senato e chi proverà a far saltare il banco nel caso in cui ci riuscisse aprirebbe la strada ad un governo Renzi-Berlusconi alla luce del sole e benedetto da un passaggio elettorale.

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