Il Partito democratico scopre quant’è bello il berlusconismo di sinistra

14 Mar 2014 18:23 - di Oreste Martino

Con Matteo Renzi la sinistra italiana ha trovato la sua via per il berlusconismo. Dopo aver combattuto per venti anni il Cavaliere, accusandolo di vendere sogni, di fare la politica degli annunci con promesse impossibili da mantenere – per ragioni di vincoli europei o per mancanza di coperture economiche – oggi parlamentari e dirigenti del Partito democratico si trovano un leader che supera Berlusconi in quanto ad annunci e promesse.

La conferenza stampa dopo un consiglio dei ministri che non ha approvato nulla è stata solo l’inizio della telenovela renziana. Di tutto quel che ha annunciato e promesso Renzi al momento non c’è nulla. Non c’è la possibilità di portare dal 2,6 al 3% il rapporto tra deficit e Pil per coprire alcune misure, perché questo è ormai possibile solo dopo il beneplacito preventivo della Commissione europea. Prima di mettere nelle buste paga i dieci miliardi sbandierati dal premier l’Italia dovrà avere il via libera da Bruxelles e dopo, seguendo alla lettera il Fiscal compact importato nell’articolo 81 della nostra Costituzione, ottenere la maggioranza assoluta da Camera e Senato. Immaginare che tutto ciò avvenga in quaranta giorni appare impossibile e quindi è probabile che il primo grande annuncio economico non veda la luce per il 27 maggio, come ha detto Renzi da Bruno Vespa aggiungendo che se non riuscirà nell’impresa potrà essere considerato un buffone.

Sulla legge elettorale la situazione non è migliore. Il pilastro centrale del riformismo renziano si appresta ad entrare nelle forche caudine di Palazzo Madama, dove non ne vogliono sapere dell’abolizione del Senato. Il presidente del Consiglio assicura che per maggio la legge sarà stata definitivamente approvata così come sarà stata votata in prima lettura la riforma costituzionale sgradita ai senatori. Anche in questo caso è difficile che le buone intenzioni si trasformino in fatti. Da qui a fine maggio ci sono appena sette settimane di lavori parlamentari, considerati gli stop per Pasqua e per la campagna elettorale europea. Un tempo assai stretto per approvare una legge elettorale dove lo scontro sull’introduzione delle preferenze, sulle quote rosa e sugli sbarramenti darà filo da torcere al premier. Pensare poi che in queste sette settimane venga anche cambiata la Costituzione con la sostanziale abolizione del Senato sembra davvero un miraggio.

Delle due l’una, pertanto: ò Renzi è un temerario che sta andando incontro alla bella morte oppure sa bene che non riuscirà a raggiungere gli obiettivi annunciati per poi scaricare le colpe su burocrazia, Parlamento e partiti al fine di chiedere un ritorno alle urne che lo incoroni. Anche in questo caso sarebbe un déjà vu al quale Berlusconi aveva abituato gli italiani.

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