Elezioni in Turchia, Erdogan resiste e minaccia: «Chi ha tradito pagherà»

31 Mar 2014 9:16 - di Redazione

Erano state definite le elezioni della ‘sopravvivenza’ per Recep Tayyip Erdogan, quasi travolto nelle ultime settimane da accuse di corruzione, nepotismo, autoritarismo: ma il ‘sultano’ di Ankara  non è stato scalfito, vincendo le amministrative con un apparente netto vantaggio secondo i dati diffusi dall’agenzia Anadolu – contestati dall’opposizione.

E la sua prima reazione, davanti a migliaia di sostenitori accalcati davanti alla sede del suo partito nella notte, è stata decisa: chi ha tradito pagherà. Il premier e’ apparso al balcone della sede del Akp accompagnato dalla famiglia, con accanto il figlio Bilal, con lui protagonista di una ormai celebre conversazione telefonica intercettato nella quale parlano di come ‘fare sparire’ milioni di euro tenuti in casa. “Oggi il popolo ha smascherato i piani e le trappole immorali” ha tuonato e “ha dato all’opposizione uno schiaffo ottomano”. Il suo partito islamico Akp, con l’84% delle schede scrutinate, è il primo con il 45,6%, in calo solo di meno di tre punti rispetto allo storico 49,6% conquistato alle politiche del 2011. Il primo partito dell’opposizione, il Chp del socialdemocratico Kemal Kilicdaroglu, che lo ha ribattezzato il ‘dittatore’ e il ‘Primo Ladro’, si ferma al 28,4%, i nazionalisti del Mhp al 15.5%, i curdi del Bdp al 4,1%.

Il premier sembra essere riuscito – se i risultati definitivi confermeranno la tendenza – a compattare il suo elettorato storico, musulmano, anatolico, rurale, con una campagna muscolare nella quale ha denunciato un’infinità di “complotti” contro il Paese e contro il suo governo, orchestrati dai ‘traditori’ della confraternita dell’ex alleato Fetullah Gulen, con l’appoggio di lobby finanziarie laiche e di potenze straniere. L’obiettivo del premier era di ‘lavare’ con un successo elettorale le accuse di corruzione. Mantenendosi al potere. Una sconfitta, aveva scritto l’analista Barcin Yinanc, avrebbe, avrebbe potuto avviare “un processo che poteva perfino farlo finire in carcere”. Ma l’opposizione, divisa, sembra non essere riuscita a dare al ‘sultano’ la spallata finale nonostante il mare di fango che gli si è rovesciato addosso dopo l’esplosione della tangentopoli turca il 17 dicembre, gli arresti dei figli di ministri, i milioni di dollari nascosti nelle scatole delle scarpe degli indagati, le intercettazioni telefoniche finite su internet nelle quali Erdogan ordina al figlio di far sparire milioni di euro nascosti in casa. La giornata alle urne è stata macchiata anche dal sangue per scontri tra clan schierati con diversi candidati in aree rurali nelle province di Hatay e Sanliurfa, vicino al confine con la Siria: il bilancio è di otto morti e almeno venti feriti.

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