Basta angherie: Fratelli d’Italia raccoglie le firme per “rivoluzionare” Equitalia

26 Mar 2014 16:48 - di Antonio La Caria

Parte da Torino una proposta di legge di iniziativa popolare sostenuta da Fratelli d’Italia in materia di fisco che mira a “una nuova Equitalia” e a una “giustizia tributaria giusta”. L’iniziativa è stata presentata a Torino dal coordinatore di Fdi del Piemonte, Agostino Ghiglia, con la presidente del Comitato promotore, Beatrice Rinaudo. La raccolta delle firme parte  con l’installazione di banchetti in tutta Italia. «La nostra proposta – ha detto Ghiglia – va nella direzione della difesa dei cittadini dalle tagliole fiscali di uno Stato vessatorio e rapace. Contiamo di presentare a breve la legge, per combattere una politica miope che preferisce far cassa oggi piuttosto che permettere una crescita che farebbe incassare di più domani». La legge prevede un termine di prescrizione certo di cinque anni per gli accertamenti e uno snellimento generale delle procedure, a partire dalla dichiarazione dei redditi. E nei casi di oggettive difficoltà economiche, la possibilità di rateizzare il debito ed eventualmente di sospenderne per sei mesi il pagamento senza sanzioni. Uno stato di cose che porrebbe le premesse per un fisco più giusto, ma che non sana le angherie del passato. «Equitalia – sostiene Giorgia Meloni – corrisponda a titolo di risarcimento il 10% ai contribuenti delle cartelle illegittimamente richieste». La leader di FdI ha accusato il governo di «non fare nulla per sospendere il pagamento delle cartelle esattoriali nei confronti di chi è in difficoltà. Sotto il profilo fiscale – aggiunge – lo Stato deve essere molto più responsabile». Quanto a Renzi, Meloni lo accusa di «voler aiutare solo i lavoratori dipendenti e mai i parrucchieri. Bisogna approvare una legge – afferma – che consenta a tutti i cittadini di scaricare tutte le spese sulla denuncia dei redditi». Meloni ha infine illustrato le tappe delle manifestazioni in vista delle europee. La più rilevante politicamente si terrà a Pordenone «in uno stabilimento dismesso perché completamente dimenticato dalle istituzioni e sopraffatto dalla sleale concorrenza cinese».

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