Marò, la beffa dell’ennesimo rinvio. Resta l’accusa di terrorismo, Letta tuona: «Reagiremo con forza»

10 Feb 2014 10:59 - di Romana Fabiani

Ancora melina, ancora un rinvio indiano del “verdetto” sulla sorte dei nostri marò ormai da due anni “sequestrati” a Nuova Delhi . È di poche ore fa la decisione della Corte Suprema di Nuova Delhi (che deve decidere sul ricorso italiano) di rinviare a martedì 18 febbraio l’ultima parola. Su Massimiliano Latorre e Salvatore Girone torna ad aleggiare lo spettro della pena di morte prevista dal Sua Act, la legge anti-terrosimo che prevede anche la pena capitale. Nell’udienza di oggi il giudice ha ascoltato la pubblica accusa, che ha appunto confermato la richiesta dell’applicazione della legge per la repressione della pirateria (Sua act) anche se avrebbe escluso la pena di morte appellandosi,  cioè, a una versione “light” della legge per la repressione della pirateria con un’imputazione per “violenze” che prevede fino a dieci anni di carcere. L’avvocato della Difesa italiana, Mukul Rohatgi, si è opposto duramente annunciando la presentazione di una specifica memoria di opposizione all’applicazione del Sua act. «È  inaudito che si possa utilizzare una legge concepita per reprimere i pirati nei confronti di due militari italiani in servizio di sicurezza anti-pirateria su una petroliera italiana», ha detto ricordando che nella sua sentenza del gennaio scorso la stessa Corte Suprema non aveva contemplato il Sua Act fra gli strumenti utilizzabili per processare i marò». «Capisco che di fronte a questa situazione sono io che devo decidere», ha detto il giudice Chauhan in versione Ponzio Pilato che ha deciso il rinvio dell’udienza.

Alla notizia il governo italiano ha reagito duramente, deciso finalmente ad alzare la voce dopo aver tenuto un profilo basso, troppo basso sulla vicenda. «È inaccettabile. L’uso del concetto di terrorismo è da rifiutare in toto, l’Italia e l’Ue reagiranno” ha commentato su Twitter il premier Enrico Letta. E dall’India l’inviato del governo Staffan de Mistura (che si trova presso l’Ambasciata per essere anche fisicamente vicino ai due fucilieri di Marina) ha confermato di aver riproposto «con forza» la richiesta che i marò tornino in Italia in attesa della decisione finale. Si fa sentire anche Emma Bonino: «L’idea che ai due marò, detenuti in India per la morte di due pescatori (per la quale da sempre si proclamano innocenti) possano essere condannati a dieci anni in base a una legge sull’antiterrorismo è inaccettabile». I nostri marò non sono terroristi, nè è terrorista lo Stato italiano – ha aggiunto la ministra degli Esteri – contestando la crescente  politicizzazione della vicenda («comunque siano le cose, le elezioni da noi o da loro, ciò non deve essere fatto pagare sulle spalle dei marò»). Edmondo Cirielli, della commissione Esteri di Montecitorio, punta i riflettori su Mario Monti all’epoca presidente del Consiglio «Dovrebbe dimettersi da senatore a vita per la gestione della vicenda che  si è rivelata un fallimento disastroso. Rinunci alla poltrona di senatore a vita. L’aver accettato supinamente la giurisdizione indiana contro il diritto internazionale, l’aver riconsegnato i nostri militari in violazione dell’istituto dell’estradizione e del codice di procedura penale  costituiscono una chiara incompatibilità con la carica onorifica di senatore a vita».

La Farnesina starebbe valutando l’ipotesi di ritirare l’ambasciatore italiano a Delhi, Daniele Mancini, mentre il governo italiano potrebbe ricorrere  al Tribunale internazionale Onu del diritto del mare di Amburgo, per chiedere una composizione internazionale sul caso. Un passo “suggerito” fin dall’inizio dagli esperti della Marina militare e dalle forze politiche più impegnate per il ritorno in patria dei marò che hanno dato vita a una campagna pressante nel Palazzo (con ordini del giorno e richieste di intervento da parte del governo) e nel Paese con manifestazioni, fiaccolate, sit in.

 

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