L’Espresso soffia sul fuoco: attenti ai manipoli “neri”… e usa le foto di Acca Larenzia per illustrare l’inchiesta
Il “pericolo nero” è un evergreen del giornalismo progressista. Così non desta meraviglia il fatto che L’Espresso pubblichi sul suo sito online un’inchiesta dal titolo allarmistico: “Camerati, miliziani e neofascisti. Così cresce la nuova estrema destra”. Dove vuole andare a parare il settimanale? Intende dimostrare che anche da noi è possibile che si proponga un fenomeno simile all’Alba dorata dei greci. Il che presupporrebbe, però, un boom di consensi per le galassie riunite dell’estremismo nero. Un evento che difficilmente potrà verificarsi viste le esigue percentuali raccolte nelle ultime competizioni elettorali dalle sigle che appunto mixano oggi richiami nostalgici e rabbia popolare. Lo fa notare, nel servizio dell’Espresso, il politologo Marco Tarchi, aggiungendo che il movimento grillino fa ora da catalizzatore del voto di protesta che non arriva neanche a lambire i “miliziani” neri, come li chiama appunto il settimanale. Tutto corretto, in effetti. Allarmismo fuori luogo pertanto. Ma restano alcuni elementi del servizio che sono degni di nota: intanto l’accostamento di vecchi arnesi dell’eversione neofascista con movimenti più freschi (vedi CasaPound) come se ci fosse una sorta di continuità ideologica. Anche qui l’interpretazione è errata: ai ragazzini di oggi, anche se non sono di sinistra, la bandiera dell’anticomunismo dice assai poco. Difficilmente la innalzerebbero contro gli “stracci rossi” come fecero i camerati più anziani anni addietro… Il campanello per i giornalisti dell’Espresso (e non solo) dev’essere suonato durante la mobilitazione dei Forconi. La presenza di militanti di Forza Nuova e di CasaPound nei presidi forconisti ha indotto a una semplificazione di troppo. Ma, alla fine, tutti hanno potuto vedere che il limite dei Forconi non è stato rappresentato dalla comparsata in piazza di personaggi un tempo appartenenti ad Avanguardia nazionale, bensì dall’assenza di un progetto credibile, capace di fare sintesi oltre gli umori popolari, oltre l’indignazione, oltre lo sconforto per le carenti risposte della classe politica. Lo schema che vuole agitatori di destra intenti a preparare le barricate all’interno di un disegno neoeversivo è del tutto fuori contesto. La lite tra i leader del movimento dei Forconi è esplicativa: controllare le piazze magmatiche del malcontento oggi non è possibile.
L’Espresso inserisce nel servizio, inoltre, la foto del rito del Presente ad Acca Larenzia. Immagini suggestive che dovrebbero mettere il lettore sull’avviso del pericolo nero alle porte. Ma quella celebrazione, che si ripete ogni anno, è anche lo specchio delle infinite divisioni che attraversano l’estrema destra a Roma e non solo. C’è chi è ammesso e chi non lo è in quella strada, in quella data. E la gestione di quel crocevia della memoria dei martiri viene usata come legittimazione al futuro reclutamento di militanti “duri e puri”. Ma la legittimazione funziona fino a un certo punto e la giornata del 7 gennaio (ricorrenza della strage del 1978 in cui vennero uccisi Bigonzetti, Ciavatta e Recchioni, ragazzi del Msi, vale la pena ricordarlo, e non seguaci delle sigle extraparlamentari dell’epoca…) diviene ogni anno fonte di nuove divisioni che solo un attento esegeta del piccolo mondo rancoroso dell’estremismo di destra può comprendere a pieno. Allo stesso tempo quel Presente è l’unico momento di reale visibilità del mondo di cui stiamo parlando, per il resto assai poco incisivo nel quadro politico nazionale.
Ma se a sinistra si specula sull’omaggio ai caduti, a destra si sottovaluta un elemento importante: le sigle citate dall’Espresso – da Forza Nuova a CasaPound, per intenderci – sono le uniche al momento che esercitano una peculiare forza d’attrazione sulle nuove leve. Il loro movimentismo, il loro ribellismo e le loro nette parole d’ordine sono in grado di mobilitare e di “formare” un personale giovanile attrezzato a radicarsi sul territorio e a fare propaganda nelle scuole. Il resto della destra è, come sappiamo, in preda ai mal di pancia di una diaspora senza precedenti. Un tempo a fare concorrenza a questa mobilitazione “radicale” c’era il Fronte della gioventù. La storia di quell’organizzazione viene ripercorsa in un libro da poco uscito, scritto da Alessandro Amorese, nel quale vengono sottolineati gli elementi di novità che il Fdg seppe metter in campo dopo gli anni di piombo. A cominciare dal rifiuto della conflittualità con il “nemico”. E ancora la scelta del dialogo e dell’innovazione nel comunicare agli altri, a tutti, le proprie idee. Quella “lezione”, se così si può chiamare, direi che è stata del tutto ignorata se oggi è il rito del Presente o lo striscione in curva a prevalere su altre forme espressive del mondo giovanile della destra, a caratterizzarne l’estetica. Ma non è detto che la competizione non si affacci di nuovo all’orizzonte. Non è detto che l’opzione tra il radicalismo e l’innovazione non torni ad essere importante modo di essere per chi sceglie oggi di impegnarsi sul fronte della destra. Non è detto che il modello debba essere per forza Alba dorata o il lepenismo. O anche la nostalgia al posto del carrierismo. I saluti romani o le carezze al potere. Non è detto.