L’85,7% degli italiani non ha capito cos’è il Jobs Act. Ma Renzi e Letta continuano a parlarne
Scavalcato nel dibattito dalla legge elettorale, il Jobs Act di Matteo Renzi resta comunque fra i temi caldi dell’agenda politica e di governo. Ieri sera, nel corso della trasmissione Otto e mezzo su La7, Enrico Letta ha spiegato che parteciperà alla direzione del Pd in cui il testo sul lavoro sarà discusso e, secondo i piani, varato dal partito. A quel punto sarà pronto per entrare operativamente in «Impegno 2014», la lista di «cose concrete» che il segretario del Pd rivendica per il programma di Palazzo Chigi. Ma a oltre un mese da quando Renzi lo ha lanciato, gli italiani ancora non hanno capito nel Jobs Act cosa ci sia. A rivelarlo è un sondaggio di Datamedia ricerche per la trasmissione A reti unificate, condotta dal Alessandro Cecchi Paone su un network di tv locali. Per il 57,6% degli intervistati il lavoro e la disoccupazione giovanile sono il problema più urgente del nostro Paese, seguiti dalla crisi economica (33,2%) e dalla riduzione dei costi della politica (18,6%) e delle tasse (17,4%). Ma quando al campione è stato chiesto se avesse chiari i contenuti del Jobs Act l’85,7% ha risposto di no, a fronte del 10,8% che ha risposto di sì. Il 3,5%, poi, ha preferito non rispondere. Insomma, gli italiani non ci hanno capito niente e questo nonostante la bozza sia stata già divulgata e l’argomento abbia trovato ampio spazio sulla stampa. Come mai? La questione meriterebbe forse un sondaggio a sé, ma si può comunque provare ad avanzare qualche ipotesi. Una in particolare: gli italiani non hanno capito o percepito i contenuti del Jobs Act perché finora il testo è stato utilizzato più a fini politici – e in particolare a fini politici interni al Pd – che come strumento per fare «cose concrete». Renzi lo ha proposto, come primo atto della sua segreteria, proprio quando Letta aveva annunciato di voler aggredire la disoccupazione e mettere mano alla riforma del lavoro. Da lì la discussione si è dispiegata tutta sul binario della concorrenza e del braccio di ferro tra i due, con il tema del lavoro svilito a pretesto per dimostrare chi è che ha davvero il timone tra le mani. Non a caso, ogni volta che Renzi rilancia le sue proposte lo fa come se si trattasse di un atto del governo e ogni volta che Letta replica lo fa ricordando che, benché importanti perché arrivano dal primo partito italiano, quelle proposte non hanno la dignità del “decreto”. «Il Jobs Act Enrico Letta ha tutto l’interesse non solo ad accettarlo, ma a contribuire a scriverlo», ha detto Renzi un paio di giorni fa. «Approveremo il piano di lavoro entro l’estate», ha rilanciato Letta nelle stesse ore, facendo poi sapere però che sarebbe stato la sintesi delle proposte di Renzi, di quelle del Nuovo centrodestra e di quelle di Scelta civica firmate da Piero Ichino. Ovvero ricordando che a Palazzo Chigi c’è lui e che a lui spetta il compito di decidere la linea. E questo è quello che è emerso in maniera più prepotente in fatto di lavoro: una discussione tutta interna alla politica e a un partito per stabilire chi è che comanda e salverà il Paese. Una discussione, come spesso capita, totalmente autoreferenziale. Per questo, in fondo, non stupisce che, nonostante le paginate sui giornali, gli italiani dei contenuti del Jobs Act non abbiano capito nulla.