Il Pg della Cassazione: I magistrati non possono rilasciare interviste alla stampa. E chiede la sanzione per il pm del caso Ruby

28 Gen 2014 19:12 - di Redazione

I magistrati non possono rilasciare interviste alla stampa. E se lo fanno meritano una sanzione disciplinare. Sia che questo avvenga per vanità o voglia di apparire. Sia che avvenga per ristabilire la verità dei fatti. Una regola allegramente calpestata ogni giorno da stuoli di pm e giudici che sgomitano per apparire di fronte alle telecamere e non sanno resistere alla voglia di chiacchierare appena vedono spuntare un taccuino e un giornalista. Ieri il Sostituto Procuratore generale della Cassazione, Umberto Apice, ha ribadito con forza il concetto chiedendo, di conseguenza, la conferma della sanzione disciplinare della censura emessa dal Consiglio Superiore della Magistratura nei confronti di Annamaria Fiorillo, la pm per i minorenni di Milano che aveva voluto così smentire la ricostruzione fatta dall’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni sul caso Ruby.
Per il Pg della Cassazione è, quindi, da confermare la sanzione disciplinare della censura emessa dal Csm a carico del pm Fiorillo per aver rilasciato interviste spiegando il suo operato nella vicenda dell’affido di Ruby a Nicole Minetti, anzichè lasciare questo compito al Procuratore capo. Così avrebbe violato il dovere di riservatezza richiesto al magistrato.Entro un mese le Sezioni Unite dell’Alta Corte renderanno nota la decisione sulla questione.
«Certamente il pm Fiorillo non cercò il contatto con la stampa per smania di protagonismo ma per ristabilire la verità dei fatti: però il dovere del riserbo comporta che sui provvedimenti giudiziari non è il singolo magistrato che deve riferire all’opinione pubblica. Questa incombenza spetta al Capo dell’Ufficio», ha sostenuto il Pg, Apice, nella sua requisitoria chiedendo il rigetto del ricorso della pm dei minori Fiorillo contro la sanzione emessa dal Csm lo scorso dieci maggio. Inoltre il Pg ha rilevato che, soprattutto «alla luce della delicatezza della vicenda, balzava agli occhi che il caso sarebbe stato oggetto di strumentalizzazioni e distorsioni e questo aspetto avrebbe dovuto frenare la Fiorillo dall’impulso di far conoscere la sua verità, che poi è risultata essere la verità oggettiva».
Ad avviso del Pg Apice, «esistevano anche altre strade per far conoscere la verità, come le querele e la richiesta di rettifica anzichè intraprendere la scelta delle interviste dal momento che il magistrato non può rilasciare dichiarazioni alla stampa».
Fiorillo, difendendosi e contestando il verdetto di censura, ha sostenuto di non aver commesso alcuna violazione dal momento che «non esiste alcun divieto assoluto per il magistrato di manifestare il proprio pensiero. Specie in un caso come questo dove non si trattava solo di ristabilire la verità, ma anche di tutelare la proprio professionalità».
Il pm Fiorillo era di turno la notte del 27 maggio 2010 quando Ruby venne portata in questura e poi rilasciata e affidata all’allora consigliere regionale del Pdl, Nicole Minetti. Palazzo dei Marescialli l’ha sanzionata per le dichiarazioni alla stampa con cui smentì la ricostruzione fornita in Parlamento da Roberto Maroni, allora ministro dell’Interno
Nel ricostruire al Senato, sei mesi dopo i fatti, quello che era accaduto quella notte, Maroni riferì che l’allora premier Silvio Berlusconi aveva telefonato al capo di gabinetto della questura di Milano per chiedere informazioni sul fermo della ragazza che gli era stata segnalata come «la nipote del presidente Mubarak». E disse che l’affidamento di Ruby a Minetti era avvenuto «sulla base delle indicazioni del magistrato di turno». Un “via libera” che in realtà non c’era stato, come hanno dimostrato le registrazioni di quelle telefonate allegate al processo “Ruby” conclusosi in primo grado con la condanna del leader di Forza Italia.

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