Con le preferenze i “renziani” sarebbero asfaltati: per questo il nodo non si scioglie
Sono le preferenze la linea Maginot di Berlusconi e Renzi all’indomani dell’accordo che hanno siglato sulla legge elettorale. L’Italicum è un sistema che più o meno va bene a tutti e le uniche differenze riguardano le preferenze. Giorgio Napolitano non può che benedire un accordo per le riforme siglato dai due principali partiti, Enrico Letta è contento perché resta certamente un altro anno a Palazzo Chigi e avrà il privilegio di fare il presidente di turno dell’Unione europea nel secondo semestre di quest’anno. Il Cavaliere e il segretario del Pd sono i cofondatori della Terza Repubblica, Nichi Vendola entra nel partito renziano e difende la sua esistenza politica, Beppe Grillo sbraita ma con un sistema proporzionale continua ad esistere, Alfano, Fratelli d’Italia ed altri conservano la loro autonoma identità pur nella coalizione di centrodestra.
C’è un ma a tutto questo filar liscio delle cose, il ma delle preferenze. C’è un motivo evidente, forte e dirompente per cui Renzi e Berlusconi hanno deciso che si dovrà votare senza far scegliere ai cittadini. Il motivo è interno ai loro partiti e alle loro coalizioni ed è vitale rispetto al loro ruolo politico. Se venissero reintrodotte le preferenze Renzi andrebbe gambe all’aria alla prima tornata elettorale. Immaginate la bella Maria Elena Boschi che si scontra a suon di preferenze con Massimo D’Alema o il portavoce della segreteria democratica Lorenzo Guerini che compete con Rosy Bindi o ancora Marianna Madia contro Gianni Cuperlo. Le elezioni non sono le primarie con gazebo e gli uomini della classe dirigente di Renzi finirebbero per essere “asfaltati” da quelli che sono in minoranza nel partito. Ecco perché il sindaco di Firenze può permettersi tutto tranne che un sistema che di fatto ne svuoterebbe la leadership, facendolo diventare ostaggio dell’apparato. Con le liste bloccate il segretario orienta il percorso di scelta, promuove e punisce e imbarca facilmente Vendola nelle liste coprendosi a sinistra e sterilizzando qualsiasi velleità di scissione. Con le preferenze, invece, Sel non potrebbe che restare dov’è, con il rischio di non superare neanche gli sbarramenti.
Lo stesso vale per Berlusconi, che grazie alle liste bloccate tiene a bada le diatribe interne a Forza Italia e depotenzia la scissione di Alfano. Il ministro dell’interno può contare su circa cento consiglieri regionali, che con le preferenze ci sanno fare e portano non pochi voti utili a superare gli sbarramenti. Se le preferenze non ci sono Alfano si ritrova tanti consiglieri regionali che diventano bocche da sfamare politicamente e la gestione degli spazi creerà non pochi problemi interni, compreso qualche ritorno dal Cavaliere. Sia Alfano sia Fratelli d’Italia non possono che convergere con la coalizione di centrodestra, restituendo a Berlusconi più centralità di quanta ne aveva ai tempi del Porcellum.
Sia il segretario Pd sia il leader di Forza Italia, inoltre, sanno che la battaglia di Grillo per le preferenze serve solo a far saltare il loro accordo, visto che il comico guadagna voti con le liste bloccate perché il consenso è d’opinione, mentre con le preferenze i suoi verrebbero schiacciati sul territorio dai politici degli apparati dei partiti. La mossa di Grillo per le preferenze è solo tattica, nella speranza che ai voti suoi, della Lega, di Alfano, di Scelta Civica, dei centristi di Casini e Mauro si aggiungano col voto segreto quelli di un pezzo di Pd e di Forza Italia utili a far saltare il banco, a mandare in vacca il sistema e a dire che i partiti sono incapaci di fare ogni riforma.
Con le liste bloccate Berlusconi e Renzi chiamano banco e con il voto segreto rischiano grosso. Se gli va bene danno avvio alla Terza Repubblica, se gli va male si torna alla prima e si va a votare con il proporzionale venuto fuori dalla sentenza della Corte Costituzionale. In quel caso non saranno gli italiani a scegliere il governo, ma lo faranno dopo il voto i partiti in Parlamento.