Casaleggio detta le regole ai grillini e il pallino torna nelle mani del Cavaliere
Gianroberto Casaleggio, guru di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle, ha tirato fuori la seconda tessera del complicato puzzle relativo alla legge elettorale. Incontrando i senatori pentastellati ha chiarito che tutte e tre le proposte di riforma della legge elettorale avanzate da Matteo Renzi non vanno bene, togliendo ogni speranza a chi pensava di poter contare sui voti grillini.
Sembra una semplice dichiarazione di contrarietà, ma in realtà l’affermazione di Casaleggio cambia il corso del dibattito sulla legge elettorale. Alla Camera Pd e Sel sono autosufficienti per approvare qualsiasi sistema di voto e con l’accordo con Angelino Alfano e il nuovo centrodestra hanno un margine che li mette al riparo anche dai franchi tiratori che possono esserci tra i democratici col voto segreto. Il problema si pone al Senato, dove la maggioranza può contare su poche unità di scarto, che certo non reggerebbero la complessità del voto segreto. Per approvare una legge elettorale il Pd al Senato non può accontentarsi di Alfano, ma ha bisogno necessariamente dei voti di Berlusconi o di Grillo. Negando il consenso dei suoi senatori Casaleggio di fatto costringe Renzi all’accordo con Berlusconi, rendendo il Cavaliere inaggirabile e padrone della partita.
Se il pallino torna a Palazzo Grazioli è fuori dalla terna il doppio turno di coalizione, sistema simile a quello con cui si elegge il sindaco, sgradito a Forza Italia sia perché il ballottaggio favorisce il centrosinistra sia perché rende meno egemonico Berlusconi nel centrodestra, dando maggiori possibilità di crescita a Nuovo centrodestra, Fratelli d’Italia e Lega Nord. Restano quindi in campo gli altri due sistemi, che Renzi ha sì proposto ma con i quali è quasi impossibile che arrivi a fare il presidente del Consiglio dei ministri. Sia lo spagnolo sia il Mattarellum, infatti, non si addicono al sistema tripolare che c’è attualmente in Italia e porterebbero dritti dritti a nuove larghe intese. In questo caso il segretario del Pd oltre a dover fare le norme elettorali con Berlusconi dovrebbe farci anche il governo dopo il voto, cosa non digeribile per gli elettori della sinistra. Ma il vero coniglio dal cilindro il Cavaliere lo potrebbe tirar fuori paralizzando tutto, aggiungendo il suo veto a quello di Grillo ed impedendo l’approvazione di qualsiasi nuova legge elettorale. A quel punto si andrebbe al voto con il sistema messo a punto dalla Corte Costituzionale, grazie al quale Forza Italia sarebbe determinante per la nascita di qualsiasi governo ed espellerebbe del tutto in gran parte dal Parlamento i suoi alleati. Nel Porcellum amputato e riscritto dalla Consulta resta in piedi la possibilità di dar vita ad un’alleanza di coalizione, ma non essendo il premio per la coalizione che vince non ha alcun senso farla. L’unico effetto sarebbe quello di ridurre la soglia di sbarramento, che fuori dalla coalizione è dell’8% al Senato e del 4% alla Camera, mentre all’interno della coalizione scende al 3% al Senato e al 2% alla Camera e anche a meno per la lista della coalizione che più si avvicina al 2%. Berlusconi potrebbe quindi negare l’alleanza preventiva agli altri soggetti del centrodestra nel tentativo di prendere i loro seggi se questi non superano gli sbarramenti. Per la Lega dover superare lo sbarramento dell’8% al Senato – peraltro divenuto su base nazionale e non più regionale – significa rischiare di non avere senatori – e il rischio si palesa anche per Alfano e per altri. Con sbarramenti così alti in Parlamento entrerebbero soltanto i tre grandi partiti e, forse, altre forze ma con presenze isolate.
In un sol colpo, anche grazie a Grillo e Casaleggio, Berlusconi torna il padrone della partita, può decidere se fare o no la riforma, che legge far approvare e che destino riservare ai suoi alleati.