Un anno fa la morte di Rauti. Ecco una sua riflessione su anni di piombo e terrorismo pubblicata sul “Secolo” nel 1979

1 Nov 2013 9:57 - di Redazione

Il 2 novembre di un anno fa moriva Pino Rauti. La sua figura politica sarà ricordata il 5 novembre in un convegno alla Fondazione Nuova Italia (ore 18) in via in Lucina 17 cui prenderanno parte, oltre alle figlie Isabella e Alessandra, lo storico Giuseppe Parlato, Gennaro Malgieri, Luciano Schifone e Silvano Moffa. Pubblichiamo di seguito un editoriale di Pino Rauti comparso sul Secolo d’Italia l’11 gennaio del 1979. Rauti lo aveva scritto pensando all’anniversario della strage di Acca Larenzia perché il ministero degli Interni aveva vietato ogni manifestazione e gli animi erano caldi. Il pezzo – intitolato “Chi sono, chi siamo” – fu messo in pagina quando ancora non era nota la morte di Alberto Giaquinto, il 10 gennaio del 1979. L’articolo contiene un lungo e accorato appello contro la deriva del terrorismo rivolto ai giovani di destra. Fu merito storico di Rauti essersi opposto, anche con iniziative come i Campi Hobbit, a quella deriva, avere detto con chiarezza che lo spontaneismo armato non apparteneva alla tradizione della destra. Parlando dei caduti di Acca Larenzia invita persino a non “sgualcire” il loro “sacrificio purissimo” con “cerimoniali banali”. La manifestazione a Centocelle in cui morì Giaquinto fu il frutto avvelenato di un clima che Rauti qui descrive alla perfezione. Il suo è un appello alla responsabilità, è un invito a superare gli opposti estremismi, è un pezzo utile per riflettere sulla violenza politica e che a distanza di anni rappresenta un documento storico di eccezionale valore.

 

 

Sembra impossibile, eppure accade: ogni anno, tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, soprattutto a Roma, si tenta , si realizza, lo stesso “gioco”: lo stesso squallido e sanguinoso giuoco: mettere in piedi un meccanismo di tensioni, di azioni e di reazioni, di esasperazioni, che poi fanno da retroterra ad oscuri e torbidi episodi il cui risultato politico è uno solo, quello di continuare a scagliare la sinistra più o meno estremas contro i giovani del nostro schieramento politico. E intanto l’antifascismo si rimobilita, dà fiato a tutte le sue trombe, rincolla i suoi cocci – che altrimenti tutti vedrebbero quanti e quali siano – mentre la stessa sinistra si riprende, almeno per qualche tempo, dalla crisi profondissima in cui versa e l’intesa di maggioranza, il compromesso storico, si rinsalda proprio nella fase in cui, invece, accenna ad andare a rotoli.

Il “cui prodest” è, dunque, di rigore: il vecchio, classico, semplice ed elementare “a chi giova?” dovrebbe servire a capire come vanno queste vicende. L’anno scorso, alla fine di settembre, fu l’omicidio di Walter Rossi, mai chiarito nella sua stessa dinamica oltre che nelle sue motivazioni, decine e decine di arresi, poi, il nulla giudiziario, e ancora si brancola nel vuoto, perché naturalmente ben altre piste (che non portavano certamente a noi) sono state accuratamente trascurate. Ma intanto, una frattura nuova si era aggiunta, fatta di istigatissimo odio forsennato. E poi venne Acca Larenzia, i tre giovani nostri assassinati da un “commando” sul quale non si è mai accennato neanche a un indizio di indagine seria e da un appartenente alle forze dell’ordine di cui non si è saputo più nulla.

Adesso, nella inconcepibile e inqualificabile condotta delle autorità e degli uffici questorili (con il ministero dell’Interno alle spalle), che prima permettono e poi negano, prima autorizzano e poi aizzano ritrattando, si è scatenata un’altra ondata di disordini, i cui autori e registi restano accuratamente nell’ombra.

Che non sia, in alcun modo e ad alcun titolo “nostro” tutto ciò, è dunque chiaro; e tale dovrebbe apparire a chiunque abbia soltanto un briciolo di intelligenza politica e voglia lealmente militare nelle nostre file. ma precisato questo non si è detto ancora tutto, anzi si corre il rischio di restare alla superficie degli avvenimenti.

Ogni ragionamento coerente – di quelli che una volta servivano e bastavano a mettere a posto le cose – appare ormai insufficiente. Perché viviamo in tempi nei quali il livello di violenza, anche quello cosiddetto “medio”, come dicono i sociologi e i politologi, quello spicciolo e corrente – tende ad espandersi, e il suo richiamo torbido e vischioso filtra, si insinua e si diffonde per mille e mille rivoli, specie su argomenti e in momenti di alta emotività; soprattutto quando sull’altro versante politico, sia il sistema nel suo complesso e sia la sua “ala sinistra” continuano ogni giorno ad assestare i colpi della sopraffazione, della più ottusa discriminazione.

Allora il “che fare?” riemerge perentorio, con accenti e toni di rabbiosa insistenza; allora le stesse ricorrenze celebrative legate al ricordo dei nostri giovani assassinati e che non hanno avuto neanche un simulacro di giustizia, non si vorrebbero sgualcite da cerimoniali banali o niente affatto omogenei al loro sacrificio purissimo.

Ed è qui che si fa avanti, che può trovare un suo spazio di suggestione la tentazione di mutuare dall’avversario, sulla spinta dell’esempio perverso portato avanti dai provocatori, le sue tecniche e le sue metodologie, anche le più fanatiche e sanguinarie.

E’ questo il grosso tentativo che è in atto nei confronti della nostra gioventù; è questo che bisogna denunciare; è su questo che occorre fare chiarezza. E anche in tale visuale bisogna dire: “no!”, chiaramente e decisamente “no!” e bisogna sostenere, e dimostrare, secondo verità, che non c’è niente di nostro. E non solo per una serie di ragionamenti politici attinenti alla fase attuale della nostra lotta politica, al quadro che si è determinato e che vi perdura dal ’45 in poi, alla preminente esigenza che abbiamo di “attualizzare” tutti i nostri contenuti programmatici tenendo conto della società nella quale ci troviamo concretamente ad agire. Non soltanto per questo, che potrebbe apparire di poco conto, specie per i più giovani cresciuti in questi anni di violenza scatenata che, si può ben dire, si respira nell’aria stessa di ogni giorno di questa società malata. Ma -soprattutto ed essenzialmente – per una questione di fondo, per motivi di principio; per ciò che attiene prima e più ancora che alla politica, alla morale, all’etica, allo stile, alla nostra stessa concezione della vita e del mondo.

Il terrorismo non è nostro; non è nelle nostre tradizioni, non c’è mai stato; non ha il benché minimo diritto di entrarvi. va respinto, ove mai tentasse di allignarvi, proprio in nome dei valori per i quali ci battiamo. Esso promana dall’anarchismo, ha accompagnato e quasi ritmato le fasi più aspre della lotta politica marxista, ha trovato il suo nuovo rilancio nel partigianesimo durante la seconda guerra mondiale ed è lì, infatti, che si riferisce e si autogiustifica; a quell’archetipo recente e gratificante.

Noi veniamo da un’altra storia, da bel altro filone di vita e di battaglia; se vogliamo dare a questi problemi livello e dignità di analisi nel profondo e nei rispettivi retroterra; noi veniamo dal combattentismo, dal volontariato, dall’arditismo; da tutto ciò che, anche in termini di durezza, ha sempre, dico sempre, postulato il pagare in prima persona, il battersi a viso aperto; il non colpire mai alle spalle; il non emergere vigliaccamente dall’ombra; il non coinvolgere gli innocenti e gli inermi.

Gli altri lo fanno, e guadagnano terreno, e diventano forti, sento dire: ma noi non siamo gli altri, siamo “noi” e anche per questo non soltanto ci sentiamo diversi, ma superiori.

E poi quale terreno, quale forza acquisiscono? Anche perché non badano ai mezzi e dimenticano che pure l’uso di certi mezzi qualifica in un certo modo il fine, quando sembra che vincono, quando vanno al potere, quando e là dove creano i loro regimi, i loro Stati e le loro società, in realtà falliscono; drammaticamente e inevitabilmente: guardate la Russia con lo stalinismo; guardate il dopo Stalin con il dissenso, guardate il Vietnam con la Cambogia; guardate Pechino dove stanno per mettere in vendita la … Coca Cola.

A sinistra sta venendo la grande crisi; sta a noi, adesso – in termini di idee, di cultura, di programmi, di rilancio sociale – sta a noi coglierne il senso, per non perdere una grande occasione di rilancio e di affermazione, Ecco come , restando fedeli alle nostre idee, alla loro coerenza etica, ai loro contenuti spirituali e più nobili, si può, si deve, fare politica; per nobilitarle e affermarle al tempo stesso, quelle idee.

Pino Rauti

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