Piano di dismissioni da 12 miliardi. Ma i tempi sono troppo lunghi: critiche da FI, Pd e Confindustria

21 Nov 2013 21:03 - di Redazione

Primo passo del governo Letta verso la riduzione del debito con la dismissione parziale di otto società pubbliche. Una mossa che vale fra i 10 e 12 miliardi di euro fra le quali spicca la cessione del 3% dell’Eni (che da sola porterà 2 miliardi) il cui controllo, chiarisce il premier Enrico Letta, rimarrà comunque ben saldo nelle mani dello Stato.

L’annuncio del presidente del consiglio, più che a incidere sul ‘moloch’ del debito italiano da oltre 2.000 miliardi di euro, serve a presentarsi davanti all’Europa in una posizione di maggiore forza per cercare di richiedere la clausola sulla flessibilità degli investimenti bocciata nei giorni scorsi dall’Ue. Il ministro Saccomanni domani a Bruxelles per l’eurogruppo, ai colleghi potrà così concretamente illustrare l’inversione di tendenza del governo dopo il caso di Alitalia-Poste. Saranno interessate a vario titolo otto società: Eni, Stm e Enav per le partecipazioni dirette e Sace (Cdp), Fincantieri (Cdp), Cdp Reti (Cdp), Tag (Cdp) e Grandi Stazioni (Fs) per quelle indirette. Nelle casse del Tesoro arriverà circa metà della cifra totale mentre il resto andrà a sostenere il patrimonio della Cdp, la quale peraltro aveva già programmato la cessione parziale in mani private delle società in questione.

L’operazione di privatizzazione avrà comunque tempi non brevissimi. Partendo da Eni: la compagnia (che ha già deliberato un buy back sul 10% del capitale) cancellerà le azioni in portafoglio, facendo accrescere la quota del Tesoro del 3% che verrà poi così ceduto a privati. Si avrà una cessione parziale della quota anche per Stm dove il ministero dell’economia è presente attraverso la holding che controlla in maniera paritetica con il fondo strategico francese. Ancora da chiarire invece le modalità di dismissione per Enav di cui verrà ceduto solo il 40%. Quanto ai gioielli in mano a Cdp, per Fincantieri si era prospettata la quotazione in Borsa di un 40% mentre è ancora incerta la modalità su Sace per la quale è prevista la cessione del 60%. Sul mercato andrà invece il 50% di Cdp Reti e Tag, mantenendo così il controllo pubblico. Su Grandi Stazioni infine l’a.d. di Ferrovie Moretti dice che la procedura è già avviata ma che i tempi non sono brevissimi e si svolgeranno nel corso del 2014.

Non mancano le critiche all’operazione da parte di osservatori ed esperti. Oltre all’esiguità della cifra rispetto all’entità del debito si mantiene quasi sempre il controllo pubblico. Più che di privatizzazioni si dovrebbe parlare di dismissioni non tanto per far cassa appunto ma per garantire maggiore potere di negoziato in sede internazionale. Certo l’apertura a soci privati garantirà alle società (e i mercati in cui operano) maggiore trasparenza ed efficienza con effetti benefici generali. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi è d’accordo sull’impostazione ma ”non sulla rapidità, sulla velocità e sulla quantità: è qui che noi chiediamo un salto di qualità”. Anche da alcuni settori del mondo politico arrivano dubbi. Duro il presidente della commissione Finanze della Camera Daniele Capezzone: ”È un’operazione da disperati” come ”chi vende l’argenteria agli usurai” e si doveva partire dagli immobili e le municipalizzate. E alcuni deputati del Pd (Michele Anzaldi, Luigi Bobba, Lorenza Bonaccorsi, Federico Gelli ed Ernesto Magorno) lanciano l’allarme ”non si può procedere a svendite delle partecipazioni pubbliche che servano solo a fare cassa immediata”.

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