Nassiriya 2003: quando l’Italia, nel dolore, si riscoprì Nazione

9 Nov 2013 21:04 - di Aldo Di Lello

Dieci anni fa, il 12 novembre del 2003,  la strage di Nassiriya. Ricordarla oggi, vuol dire riconoscersi, come italiani, in un dolore che affratella la comunità nazionale. Ma vuol dire anche ricordare un punto di svolta, un orgoglio  ritrovato. L’Italietta dei “pacifinti” (non quella che voleva la pace, ma quella che voleva essere lasciata in pace), l’Italietta degli internazionalisti proletari in servizio permanente effettivo, l’Italietta che sventolava la bandiera arcobaleno perché sembrava un simbolo cool, quell’Italietta  in fuga dalla storia, per qualche giorno ammutolì, lasciando il posto a un Nazione composta, orgogliosa, consapevole del proprio ruolo internazionale. Quella Nazione, che gli intellettuali alla moda davano per scomparsa, si ritrovò in una notte, nel mesto pellegrinaggio davanti all’Altare della Patria. Vennero a decine di migliaia da tutta Italia, gente di tutte le età, di tutte le categorie sociali, di tutte (o quasi) le appartenenze politiche. Sfilarono silenziosi, dopo una coda  di ore nella fredda notte autunnale, davanti al Milite Ignoto. E deposero fiori e poesie in onore dei nostri 19 Caduti. Alla mattina del 13 novembre, il Vittoriano offrì uno spettacolo straordinario: la scalinata era ricoperta di fiori. Sembrava un giardino. Parve rifiorita  la Nazione.

Sono immagini struggenti e indimenticabili. Che contengono un invito alla speranza. Perché ci fanno pensare che, nonostante tutto, nonostante le divisioni, le faziosità, i rancori che devastano la vita collettiva, esiste ancora un cuore italiano, un cuore intangibile, un cuore che sa rigenerarsi  di energie civili quando il Paese attraversa i suoi momenti più difficili. Ecco il messaggio d’amore che ci arriva dal sacrificio dei 19 eroi di Nassirya. Un messaggio e un incitamento a non sottrarci alle piove della storia, ad assumerci le nostre responsabilità di grande Paese volto a difendere la pace, la sicurezza, i diritti ovunque essi siano minacciati nel mondo. Non era la prima volta che l’Italia piangeva, dal 1945 ai primi anni 2000, i suoi figli in divisa. Atroce fu ad esempio la strage di Kimdu nel 1961, nel Congo belga, quando 13 avieri italiani delle forze Onu vennero trucidati dalle soldataglie locali.  Ma a Nassiriya ci fu la riscoperta di un sentimento nuovo e di antichi valori mai tramontati: l’onore militare e il senso del dovere come virtù al servizio di un mondo sempre più interdipendente. E quindi in cerca di pace e di sicurezza.

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