La Conferenza di Ginevra sulla Siria: un’altra carta in mano a Obama per recuperare credibilità. Ma c’è la stella di Putin a fargli ombra

26 Nov 2013 11:53 - di Francesco Severini

Il segretario generale dell’Onu Ban ki-moon ha fissato una nuova data, il 22 gennaio prossimo, per l’attesa conferenza internazionale sulla Siria da tenersi a Ginevra. Il ministro degli Esteri Emma Bonino ha confermato che l’Italia ha “interesse e determinazione” a sedersi al tavolo, al quale però non si sa ancora chi si siederà degli attori, siriani e non siriani, che in Siria si danno battaglia. Lo stesso rappresentante Onu Lakhdar Brahimi ha confermato che per il momento non esiste una lista di invitati alla conferenza. L’obiettivo della riunione di Ginevra è – come ha ricordato Ban – quello di dar vita a un governo di transizione con pieni poteri esecutivi. Un obiettivo che rimane assai vago. Proprio a causa di questa ambiguità le parti in causa hanno buon gioco nell’accettare gli appelli al dialogo ma al tempo stesso a rifiutare i compromessi decisivi. Le opposizioni in esilio – sostenute dall’Italia oltre che da Usa, Francia, Gran Bretagna, Turchia e Paesi del Golfo ma sempre più sfiduciate dalla base di attivisti e di ribelli in patria – continuano a chiedere che Assad non faccia parte del processo di transizione politico. Mentre i rappresentanti del regime hanno ribadito, anche di recente, che non si affacceranno sulle sponde del lago Lemano per “consegnare il potere”. Mentre anche infuriano le battaglie nei teatri di Homs, Damasco e Aleppo, le istituzioni del regime adottano misure formali in vista delle elezioni presidenziali del 2014, alle quali Assad non ha escluso di volersi candidare e che si svolgeranno in un Paese semi-distrutto: saranno rinnovate le carte di identità di milioni di cittadini nell’ambito di un processo di “modernizzazione” che costerà alle già dissanguate casse dello Stato ben 28 milioni di euro. La principale formazione dei ribelli siriani ha annunciato oggi che non parteciperà alla conferenza di Ginevra. Lo ha detto alla tv panaraba al Jazira il generale disertore siriano Salim Idriss, comandante dell’Esercito libero vicino alla Coalizione delle opposizioni siriane in esilio (Cns).

Lo storico accordo con l’Iran sul nucleare e la conferenza sulla Siria rappresentano per Obama la chance per riaffermare quella che ha definito una “nuova leadership Usa nel mondo”. Il quadro che si va definendo in Medio Oriente, infatti, lascia sperare in una soluzione stabile della rivalità tra l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita. Molto dipenderà da Ginevra 2, un tavolo in cui la Russia di Putin pretende la presenza dell’Iran (invisa all’Arabia saudita). Il tavolo siriano è stato proprio quello che ha offerto a Putin la possibilità di riconquistare una centralità internazionale che era appannata. Intanto, Obama deve affrontare lo scetticismo interno che monta proprio a proposito dell’accordo con l’Iran, con molti repubblicani – ma non solo – pronti a proporre comunque nuove sanzioni in Congresso. Sanzioni verso cui il presidente, però, è a sua volta pronto a porre il veto. Sul piano diplomatico Obama deve affrontare anche la diffidenza dei Paesi arabi sunniti del Golfo che temono un possibile riavvicinamento degli Stati Uniti all’Iran sciita che potrebbe ripercuotersi sui diversi fronti aperti di una guerra sotterranea in corso da anni fra i due schieramenti, in particolare in Siria, Libano ed Iraq.

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