Dal festival di Roma a quello di Torino: la sinistra cinefila litiga su tutto (ma si coccola Pif)
La staffetta cinematografica – e tutto il corollario delle controversie che si porta dietro – passa dalla capitale a Torino: “tedoforo d’eccezione”, Paolo Virzì. Il Festival di Roma si è chiuso con il suo strascico di polemiche sul red carpet non ancora smontato. Il Festival di Torino si apre oggi all’insegna dei suoi propositi inaugurali. Il mattatore della scena, regista e interprete delle controversie cultural-imprenditoriali, è sempre lui: il noto cineasta di film di successo come La bella vita e Ferie d’agosto, un autore amato dai salotti democrat a cui non ha comunque risparmiato negli anni stoccate e affondi, e adesso anche direttore artistico della trentunesima edizione della rassegna di celluloide sabauda che parte oggi al Lingotto. Una sfida quasi personale, quella della kermesse torinese, che si apre a pochi giorni dalla conclusione del Festival di Roma, quando ancora i riflettori sulla polemica scatenata da Virzì sui soldi pubblici spesi per assicurarsi la presenza dell’unica diva degna di tale epiteto sfilata sulla passerella capitolina, Scarlett Johansson, non si sono spenti del tutto. Una diatriba rilanciata anche dalla presentazione di un’inedita anima pop impressa al cartellone torinese, ancora una volta orgogliosamente immune al virus ormai endemico della presenza delle star. Un festival “virtuoso”, questo firmato Virzì, che nelle intenzioni guarda sia al box office che alla televisione, e tutto con poco meno di due milioni e mezzo di euro di budget (contro i sette di Roma). Una sottolineatura che, unita alla concomitanza di tempi a svantaggio di entrambe le manifestazioni cinematografiche, rimarca la polemica tutta interna alla sinistra tra aedi e gestori di una politica culturale a metà strada tra doveri imprenditoriali e ritorni d’immagine spettacolari, diktat morali da spending review, e costi immolati sull’altare del restyling auto-promozionale.
E in questo magma indistinto di dare e avere, sborsare e incassare, la distanza siderale tra due mondi festivalieri da colmare in appena quattro giorni tra la fine della Festa romana e l’inizio dell’agone torinese: un arco ristrettissimo, che rischia di stringersi come un cappio intorno al collo dell’intero sistema cinematografico nazionale. Una possibilità che potrebbe anche trasformarsi in minaccia letale qualora i tempi dovessero andare addirittura a coincidere, come in qualche modo ipotizzato dal direttore artistico del Festival di Roma, Marco Muller, che ha già dichiarato di voler posticipare l’inizio della Festa capitolina edizione 2014 a metà novembre, andando a sovrapporsi con la manifestazione di Torino.
Per fortuna, però, almeno sui cavalli di razza della scuderia progressista sembrano tutti d’accordo: per l’occasione, il comune denominatore registico di turno è Pif, (vero nome Pierfrancesco Diliberto), o meglio il film del suo debutto dietro la macchina da presa, La mafia uccide solo d’estate, il titolo con cui l’ex iena passato al cinema scende in campo, e che arriverà nelle sale il 28 novembre. La pellicola racconta, incastonandolo in una cornice da commedia, l’impegno civile e sentimentale di un ragazzo palermitano sullo sfondo dei fatti criminali che hanno insanguinato la Sicilia tra gli anni Settanta e Novanta, anni di omicidi eccellenti. Uno sguardo non del tutto inedito sulla mafia – la scelta di dissacrare boss e casati mafiosi vanta un lungo corso cinematografico – ma già benedetto dall’intellighenzia radical chic di sinistra. Del resto, il pedigree di rigore del novello cineasta c’è tutto: la gavetta nelle reti Mediaset. Il debutto sul set con una storia di mafia che mescola ironia e impegno civile. Una fidanzata arruolata tra le fila santoriane come Giulia Innocenti, militante del piccolo schermo come lui fino a poco fa.