«Ripartiamo dal capitalismo di Olivetti»: il quotidiano “Avvenire” riapre il dibattito sul modello di sviluppo
«Ripartire da Olivetti, una storia italiana da capire e ricominciare». Il quotidiano cattolico Avvenire prende a pretesto la fiction televisiva, stasera su Raiuno la seconda e ultima parte della miniserie, per riscoprire «le radici, l’intuizione e la lezione dell’industriale» che ha lanciò la fabbrica di Ivrea prima dell’acquisizione da parte di De Benedetti. Un modello di capitalismo partecipativo che è nella storia della destra italiana, ma che in Italia non ha mai trovato piena realizzazione. «La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia», dice a un certo punto della fiction un profetico Adriano Olivetti (interpretato da Luca Zingaretti). Nella biografia tv realizzata dal regista Michele Soavi (già regista de Il sangue dei vinti e legato da una lontana parentela con Olivetti) l’imprenditore piemontese è rappresentato come uno Steve Jobs degli anni ’50, con qualche inevitabile infedeltà narrativa, tutta funzionale alla fiction. Un’avventura imprenditoriale, ma anche spirituale, una capacità visionaria che lo avrebbe visto vincitore sulle superpotenze commerciali americane nella corsa alla realizzazione del primo calcolare elettronico e che, con la sua visione, cambiò il corso della vita sociale e industriale del Paese.
A spiegare le ragioni di un modello vincente, che purtroppo non ha avuto emulatori, l’economista Luigino Bruni sul quotidiano dei Vescovi: «Dietro all’esperimento di Olivetti si nascondeva qualcosa di estremamente importante per l’Italia: la possibilità di concepire e di praticare, un’economia di mercato che non fosse quella capitalistica che si stava affermando negli Usa, né quella collettivistica russa, né quella svedese, giapponese o tedesca. Quella di Olivetti era semplicemente l’economia italiana, cioè l’erede dell’economia dei Comuni, dell’Umanesimo civile degli artigiani artisti, dei cooperatori». Una terza via, che «si basava sull'”inclusione produttiva”, parola chiave dell’umanesimo olivettiano». Quella che in altri termini, si concretizza con la partecipazione dei lavoratori agli utili, antica battaglia della destra italiana. La fiction sull’imprenditore di Ivrea e sulla sua eredità rappresenta dunque una occasione per «pensare di riprendere – come auspica Avvenire – le fila di un discorso economico-civile interrotto» e «anche se la storia non torna indietro, possiamo sempre correggere o invertire la rotta».