Pdl diviso al voto di fiducia: 23 con Letta, tutti gli altri compatti con Berlusconi. Bondi: Silvio pugnalato alle spalle

2 Ott 2013 12:47 - di Gloria Sabatini

«Solo chi non ha le spalle larghe ha paura del confronto», scandisce Letta di fronte all’Aula di Palazzo Madama. Un invito muscolare ad andare avanti per uscire dalle secche della recessione. Silvio Berlusconi, che si presenta in aula con una mezz’ora di ritardo, sembra aver rimandato il ruggito, dice di voler ascoltare  l’informativa del premier prima di decidere e annuncia che il Pdl voterà compatto. Così la giornata più lunga del premier («non ho dormito questa notte come molti di voi») si apre con un possibile epilogo a sorpresa che non ci sarà. Il Cavaliere che un secondo dopo l’informativa del premier riunisce a spron battuto i “suoi” senatori, raggiunti dai deputati, potrebbe essere stato sedotto dal sobrio discorso pseudo-montiano di Letta, sempre più intenzionato ad accreditarsi come salvatore della patria. Difficile da credersi: in aula, seduto accanto a Scilipoti, il Cavaliere appare crucciato e pensoso. ll pallottoliere notturno è gia superato quando si apre la seduta e l’implosione del Pdl è solo rimandata, con Maurizio Lupi che non siede al tavolo dei ministri e la sentinella Verdini che salta di banco in banco per trovare la quadra.

Minzolini sorride dietro un impeccabile Bondi, severo come non mai. Sarà lui a prendere la parola per una difesa appassionata e drammatica di Berlusconi «pugnalato alle spalle nel momento di massima difficoltà quando meritava attorno a sé una comunità in grado di assicurargli solidarietà, oltreché dimostrare un minimo di intelligenza politica». Fallirete, dice il fedelissimo di Silvio «darete vita a un governicchio che ha ottenuto solo lo scopo di spaccare il Pdl». Solo Giovanardi applaude timido a qualche passaggio di Letta, dopo aver annunciato che il manipolo pronto a votare la fiducia può contare su 40 senatori e che se il Cavaliere va avanti a testa bassa rischia di passare dalla parte del torto. Nunzia De Girolamo si aggira raggiante per aver scelto la strada del coraggio, che tradotto significa smarcarsi dalla deriva dei falchi.

Dagli scranni del Pd l’intervento di Letta è scandito da qualche timido applauso,  soprattutto quando vengono citati gli Stati uniti d’Europa in cui l’Italia giochi d’attacco. Ma non è aria da standing ovation, neppure il passaggio su Papa Francesco riscalda i cuori dei senatori. Per alcuni interminabili minuti è top secret l’esito del vertice convulso del Cavaliere con i gruppi, nel tam tam che si rincorre tra i cronisti circola la notizia che la notte abbia portato consiglio all’ex premier deciso a votare la fiducia, forse per disinnescare la miccia dei 23  senatori pidiellini che hanno firmato la mozione pro-Letta. Lo strappo che potrebbe tradursi nella nascita di un gruppo autonomi (i popolari) è annunciato da Formigoni. Un sardonico Andrea Augello conferma di essere della partita in compagnia tra gli altri di Sacconi, Quagliariello, Giovanardi. Che tiene segrete le carte: gruppi autonomi? «Nessuno ne ha mai parlato, la nostra volontà è di rimanere nel Pdl». Ma altri andranno via? «Avendo aperto Forza Italia potrebbero farlo, ma perché io dovrei essere trascinato in Forza Italia?».

Ma Berlusconi alla fine decide per la sfiducia, gli stop and go non possono tradursi nella farsa finale. Il gruppo del Pdl decide di votare per alzata di mano e nessuno alza la mano per salvare il governo. Sarà sfiducia. «Enrico Letta ha fornito una prova deludente su due fronti decisivi», spiega Daniele Capezzone: «In economia non ha prospettato nulla di davvero convincente e concreto. Al di là delle parole e delle promesse da saldi di fine stagione su spesa e tasse». Alfano, testa bassa, avrà pure dimostrato il suo “quid” ma il prezzo da pagare è una spaccatura ormai insanabile.

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