Mettere o no la fiducia? Letta a un bivio aspetta la prossima mossa di Berlusconi
Sarà davvero una partita a scacchi, com’è stato detto, quella che si apre mercoledì al Senato con le comunicazioni di Enrico Letta? Gli esperti di “scenari” fantasticano sulle ipotesi più disparate. Ma la mossa decisiva è quella che spetta al Cavaliere. Berlusconi, preoccupato dalle ripercussioni economiche della crisi che di fatto si è già aperta, si è detto disponibile a votare legge di stabilità, decreto su Imu e quello sull’Iva in tempi rapidissimi (una settimana) dopo i quali per lui non ci sono che le urne. E’ ovvio che una settimana è pochissimo e qualche mese è troppo poco perché il Pd, e con esso Letta, possano accettare l’offerta ma non c’è chi non veda in questa disponibilità di Berlusconi lo spiraglio per una trattativa (ha infatti anche respinto le dimissioni dei parlamentari). Per questo Letta sta pensando ora se mettere o no la fiducia sulle sue dichiarazioni programmatiche. L’obiettivo è quello di licenziare i provvedimenti economici più urgenti che eviterebbero al Paese di scivolare di nuovo in Europa tra i sorvegliati speciali. Con il voto di fiducia le spaccature nel Pdl potrebbero emergere in primo piano (lo stesso Angelino Alfano, per niente convinto dall’assemblea del gruppi parlamentari del Pdl) ha avanzato l’ipotesi di costituire gruppi autonomi perché indisponibile a restare in una nuova Forza Italia comandata dai “falchi”. La fibrillazione interna al partito costringe Berlusconi a prendere tempo per ricucire gli strappi e conviene di sicuro al galleggiamento del governo Letta. Ma la fiducia si può evitare? Letta può chiedere la fiducia con un governo “azzoppato” dalle dimissioni – sia pur virtuali – di cinque ministri? O non dovrebbe in ogni caso rassegnare le dimissioni e poi ripresentarsi alle Camere con un nuovo esecutivo? E i ministri del Pdl come devono considerarsi quando Letta farà le sue comunicazioni in aula: come membri del governo o come esponenti dell’opposizione? Un complicato rebus istituzionale che sospinge Letta verso un’altra, allettante possibilità: giocare una partita in proprio nell’area di appartenenza, la sinistra, presentandosi come candidato premier alle primarie e sfidando Renzi in campo aperto. Una partita di sicuro più facile di quella cui è costretto in queste ore: subire il logoramento di chi governa, obbedire agli ordini del Colle, alienarsi le simpatie dell’elettorato di sinistra che con quelli del Pdl non avrebbe mai preso neanche un caffè.