L’Italia ha sempre trattato tutti come persone: la Kyenge impari la nostra storia

25 Ott 2013 17:29 - di Francesco Signoretta

C’è sempre un limite oltre il quale non si deve andare, specie se si è ministri o parlamentari. Evidentemente qualcuno questo limite non lo conosce o finge di non conoscerlo. Le ultime performance della Kyenge non sono state molto eleganti, ma ora si è spinta oltre: «Per la prima volta – ha detto – anche in Italia il tema dell’immigrazione ha un altro approccio e per la prima volta i migranti vengono considerati persone», quasi a voler intendere che fino a oggi c’è chi ne ha parlato come se fossero animali da macello. Parole offensive, perché mai nessuno nel nostro Paese – a destra come a sinistra, al Nord come al Sud – ha mai trattato gli immigrati in questo modo, dimenticando che sono uomini e donne. La Kyenge, nella sua esigenza quotidiana di dire qualcosa e farsi notare – in tv, alla radio o a un dibattito all’assemblea Anci, fa lo stesso – è inciampata di brutto. Forse nessuno le ha detto che il popolo italiano ha una grande tradizione di solidarietà, non ha mai sbattuto la porta in faccia a chicchessia e ha sofferto sulla propria pelle il fenomeno dell’emigrazione, vicende rimaste scolpite nella nostra storia, entrate nella letteratura e persino nella cultura musicale. Se poi la sua frase si riferiva alle leggi, a partire dalla Bossi-Fini, lo scivolone è doppio perché la “ministra” dimostra di voler speculare su un provvedimento che tutt’è tranne discriminatorio, anzi aiuta chi ha la volontà di integrarsi pienamente nel nostro Paese. Il problema che le sfugge (o meglio, che finge di ignorare) è quello che riguarda l’immigrazione selvaggia, le ondate senza fine di arrivi sulle nostre coste, il ruolo degli scafisti, il rifiuto di molti extracomunitari di dare persino le impronte digitali e le vere generalità, nonché il pericolo dell’incidenza criminale, la coesione tra la delinquenza nostrana e la delinquenza proveniente dall’estero attraverso appunto gli ingressi clandestini. Tutti fattori, questi, che non possono essere certo cancellati con gli slogan. E per recuperare terreno alla “ministra” non bastano certo i complimenti della Bonino («Cécile Kyenge è molto coraggiosa, con la sua azione sta cambiando l’Italia»). Perché questi complimenti non sono frutto di un giudizio politico: più che altro sembrano un siparietto pubblicitario.

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