In «Afghanistan #senzapaura». Il racconto dell’eurodeputato Carlo Fidanza, in missione con la Ue
A Herat ci è andato da solo, prendendosi tutte le responsabilità del caso: la tappa era fuori dal programma ufficiale del Parlamento europeo. Ma Carlo Fidanza, eurodeputato di Fratelli d’Italia e unico italiano della missione istituzionale, la riteneva obbligata. «Per un saluto ai nostri ragazzi», ha scritto su facebook, alla vigilia del viaggio che ha ribattezzato “Afghanistan #senzapura”. Da Bruxelles, il 28 ottobre, sono partiti in sei, tra parlamentari e funzionari della delegazione per i rapporti con l’Afghanistan del Parlamento europeo. Rientreranno oggi, chiudendo un viaggio a lungo richiesto e mai realizzato prima d’ora per motivi di sicurezza.
Sulla sua pagina facebook, che ha come immagine di copertina la foto dei marò, Fidanza ha tenuto un diario di questi giorni afghani. Arrivato a Camp Arena, la base di Herat sulla cui piazza d’armi «garrisce alto il tricolore», dopo aver visto come lavorano i militari italiani all’estero, la perizia con cui bonificano le strade da «ordigni di ogni genere», l’esponente di Fratelli d’Italia ha precisato quel pensiero sul saluto ai “nostri ragazzi”: «Tutta gente che ha fatto esperienze importanti all’estero, sono professionisti con i contro… e non semplicemente “ragazzi”». Come a dire che quel termine, usato con un senso di affetto nei confronti delle forze armate, non deve far mai dimenticare la realtà di un contingente fortemente professionalizzato e motivato, che crede in quello che fa e che sa eccellere sul campo anche rispetto a partner tradizionalmente più incensati. «Lei non sa, onorevole, che soddisfazione guidare noi quella colonna, con gli americani dietro», hanno detto i militari italiani a Fidanza, parlando della missione a Farah dove proprio in questi giorni si sta ultimando il passaggio di consegne tra il contingente internazionale e le forze afghane. «Ho potuto toccare con mano la stima e il rispetto di cui godono i nostri militari. La chiusura della base di Farah è un ulteriore passo della transizione verso un Afghanistan stabile», ha detto Fidanza al Secolo.
La cornice in cui si inserisce la missione dell’europarlamento, del resto, è proprio questa: sullo sfondo c’è il ritiro o più propriamente, come spiega Fidanza, il «ridimensionamento» della missione Isaf a partire dalla fine del 2014. Un passo indietro che è all’orizzonte, ma che appare ancora estremamente controverso per le condizioni in cui versa il Paese. Un esempio vale per tutti: per diventare poliziotti si fa un corso base di appena otto settimane, da integrare successivamente, e gli agenti hanno in dotazione «un solo paio di calzini e di anfibi». Ci sono anche sorprese positive, come l’incontro frequente (o almeno più frequente delle attese) di funzionari e rappresentanti istituzionali donna, ma l’impressione generale è di una situazione ancora fortemente instabile, in cui permangono zone d’ombra enormi come quelle in cui si insinua la corruzione, quelle in cui trovano spazio le coltivazioni di oppio o quelle in cui il denaro sembra avere un ruolo davvero eccessivo, tanto da diventare il motore dell’accordo bilaterale sulla sicurezza con gli Stati Uniti. Sembrava non dovesse mai arrivare, invece le autorità locali si sono dette disposte a sottoscriverlo, non senza però cercare prima di ottenere nuovi fondi da Washington.
«Tutti ripetono che se nel 2014 li molliamo è come aver buttato via dodici anni e tante vite umane. Chiedono a noi europei, dal momento in cui l’aspetto militare passerà in secondo piano (non ne sarei così convinto) di esercitare un ruolo maggiore per favorire la transizione democratica ed economica», ha scritto Fidanza sul suo diario, spiegando poi al Secolo che «non possiamo lasciare il lavoro a metà, avremo speso risorse e versato troppo sangue inutilmente. Anche i nostri uomini lo sanno…».