Nella nuova inchiesta sulla strage di via Acca Larenzia anche il misterioso suicidio in carcere di Mario Scrocca

12 Set 2013 17:20 - di Sandro Forte

La morte di Jimmy Fontana ha riportato alla ribalta della cronaca la famosa e famigerata mitraglietta Skorpion che il cantautore acquistò e poi rivendette e che successivamente fu utilizzata dalle Brigate Rosse per commettere cinque delitti, fra cui l’agguato mortale ai giovani missini Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, davanti all’allora sezione del Msi in via Acca Larenzia a Roma, il 7 gennaio 1978, uno dei fatti di sangue più drammatici degli anni di piombo e, come tanti altri in cui le vittime sono stati ragazzi di destra, fino ad oggi senza colpevoli. È vero però che nei mesi scorsi l’inchiesta è stata riaperta dal pm Erminio Amelio che ha disposto nuovi accertamenti proprio su quella mitraglietta Skorpion, trovata nel 1988 in un covo delle Brigate Rosse a Milano. Su questa arma, grazie alle più aggiornate tecniche investigative, gli esperti della polizia scientifica cercano nuovi elementi sulla strage, come impronte digitali e tracce biologiche che potrebbero essere sfuggite in passato. La prima inchiesta, come si è detto, non approdò a nulla di concreto, ma alcuni elementi non furono mai chiariti. Come, ad esempio, il misterioso suicidio in carcere dell’estremista di sinistra, appartenente a Lotta Continua, Mario Scrocca, 28 anni, infermiere all’ospedale Santo Spirito. Fermato il 30 aprile 1987, nove anni dopo strage, dopo un primo interrogatorio davanti al giudice istruttore Guido Catenacci e la notifica del mandato di cattura per l’omicidio dei due ragazzi di destra, la sera dopo, approfittando di un momento in cui la guardia carceraria di turno si era allontanata, si strinse un asciugamano attorno al collo, lo fissò alla serratura di una finestra e si lasciò cadere nel vuoto. Prima di uccidersi il giovane infermiere avrebbe indirizzato ai familiari una lettera in cui chiedeva perdono per il tragico gesto e spiegava il perché del suicidio: non se la sentiva di affrontare un processo, sapendo di essere innocente. Ma il particolare fu smentito in modo secco a Palazzo di Giustizia: Mario Scrocca, in cella, avrebbe scritto solo una sorta di diario in cui annotava con minuzia tutte le più piccole vicende della detenzione, dal momento dell’arresto in poi. Secondo l’avvocato difensore, ad accusare il giovane di Lotta Continua era stata una pentita, Livia Todini, la quale avrebbe detto di aver visto Mario a una riunione in cui fu decisa la sigla da usare per la rivendicazione del sanguinoso agguato: Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale. Come effettivamente fu. Secondo l’avvocato, Mario poteva stare tranquillo: non c’erano elementi di accusa validi e sarebbe uscito dal carcere in pochissimo tempo. Contro di lui c’era appunto la testimonianza della pentita, che però parlava solo di una riunione, non del duplice omicidio. Comunque, a seguito delle rivelazioni della Todini, oltre a Scrocca furono arrestati altri estremisti di Lotta Continua: Fulvio Turrini, Cesare Cavallari e Francesco de Martiis, poi assolti in primo grado per insufficienza di prove; stessa sorte toccò ad un’altra imputata latitante, Daniela Dolce, che riuscì a non farsi catturare e che in seguito riparò in Nicaragua.
Nella nuova inchiesta aperta sulla strage di Acca Larenzia il pm Erminio Amelio riesaminerà anche gli atti su quel suicidio: se davvero Scrocca era innocente perché uccidersi? E se invece fosse stato colpito dal rimorso, seppure a distanza di nove anni, per aver saputo qualcosa su quel terribile agguato?

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