Nel Pd dei falsi moralisti è morta la politica
Coglie nel segno l’ironico tweet di Francesco Storace quando scherzando ma non troppo evidenzia che il primo a rischiare la propria agibilità politica, più che Berlusconi, è Luciano Violante. L’ex-presidente della Camera è sotto tiro nel suo stesso partito per aver pronunciato parole di buon senso sulla questione della decadenza di Berlusconi da senatore. Non un’apertura, non un lodo, come pure enfaticamente era stata definitiva l’intervista al Corriere della Sera in cui non ha escluso la possibilità di un ricorso alla Consulta per approfondire alcuni aspetti controversi della legge Severino, ma solo calcolato buon senso. È stato tuttavia sufficiente a far partorire i sospetti di inciucio con l’odiato Nemico di cui è sempre incinta la pancia profonda del Pd. Probabilmente si tratta di un riflesso condizionato, di una reazione assolutamente prevedibile e tuttavia essa è indicativa del modo in cui ormai la sinistra italiana intende la lotta politica ed il concetto stesso di democrazia.
Più volte recentemente, da queste stesse colonne, abbiamo sollecitato Berlusconi a non attendere l’umiliante voto del Senato e a dimettersi da senatore con un discorso alto e chiaramente programmatico, capace di diventare la roccia su cui costruire il centrodestra di domani. Non siamo perciò sospettabili di voler ricercare a tutti i costi una improbabile soluzione che “liberi” dagli effetti di una condanna definitiva il protagonista assoluto degli ultimi vent’anni di storia nazionale. Per noi questa soluzione non esiste. Esiste però una questione politica che non può essere elusa e che non riguarda solo il Cavaliere ma l’intero sistema dei partiti. Non ci sfugge che ovvie ragioni di bottega consiglino al Pd di cedere alla tentazione di regolare una vola per tutte i conti con l’uomo che in questi venti anni ha impedito loro di vincere a mani basse. Un partito vero, tuttavia, un partito animato da ambizioni di governo e non da propositi di vendetta è davvero tale se riesce a resistere alla tentazione di vincere facile e a farsi carico non solo delle reazioni del proprio elettorato ma anche della tenuta complessiva del quadro politico. In tal senso, la proposta di inviare gli atti alla Consulta perché valuti la costituzionalità della “Severino” può rappresentare una posizione di assoluto equilibrio ed in ogni caso idonea ad allontanare il sospetto di essere ben pronti ad eliminare per via giudiziaria Berlusconi.
Finora la reazione del Pd è stata speculare a quella del Pdl ed entrambe ben hanno reso l’idea dello stato di comatosa incomunicabilità del bipolarismo italiano. Ma mentre il Pdl può invocare a propria giustificazione la ferita letale subita con la condanna del proprio leader, il fremito forcaiolo che scorre sotto la pelle del Pd non ha altra motivazione all’infuori della furia dei suoi parabolari.
In realtà, c’è più tutela dell’interesse di partito nel possibilismo del comunista Violante che nel rigorismo della dossettiana Bindi. Non è un caso: l’ex-presidente della Camera crede nel primato della politica mentre l’altra ha come riferimento prioritario la morale. Fosse stato come lei, il Togliatti guardasigilli non avrebbe mai amnistiato i fascisti ma probabilmente non gli sarebbe riuscito di sfrattare i Savoia dal Quirinale.
Il Pci di Togliatti era un partito-guida che ambiva a dare una meta alla società. Il Pd è un partito-specchio che invece vi si riflette. Esattamente come fa Berlusconi quando, sondaggi alla mano, insegue gli umori profondi della gente e non ne fa mistero. La sinistra attuale, invece, lo fa in maniera meno plateale allineandosi ora ai comunicati della Cgil, ora ai diktat dell’Europa, ora alle invettive dei comici, ora alle iniziative delle toghe. L’effetto è sempre quello della deresponsabilizzazione. Vero è che nel caso di specie non c’è molto da fare se non inviare il dossier Berlusconi alla Consulta, ma è soprattutto la qualità del dibattito interno al Pd a seminare sconcerto. Non si tratta di distinguere tra giustizialisti e garantisti, che già sarebbe un bel passo avanti, ma di capire se in quel partito c’è ancora spazio per l’autonomia della politica o se ogni posizione arriva sotto dettatura. La brutta accoglienza riservata alla sortita di Violante ci costringe ad optare per la seconda ipotesi.