Nel nome di Guglielmo Marconi nasce la “community” italiana per l’innovazione

25 Set 2013 19:45 - di Silvano Moffa

Finalmente una buona notizia. Di quelle che rinfrancano e accendono un lume di speranza in questa epoca così  tetra.  Nel  nome di Marconi sta per nascere una community  italiana per l’innovazione. Il battesimo avverrà a Trento. E sarà un giorno da ricordare. Di che si tratta? L’idea è suggestiva, nella sua semplicità : puntare decisamente sulla ricerca e l’innovazione tecnologica per sostenere le imprese, i sistemi territoriali  e i living lab , su mercati internazionali sempre più selettivi. Detta così, l’iniziativa sembra ricalcare l’esperienza dei tanti network che già operano nel settore. Ma le cose stanno in  modo diverso. A offrirle  il carattere della novità sono almeno due elementi. Intanto il  nucleo dei promotori e poi la valenza culturale. La Community Network nasce dal raggruppamento di alcune eccellenze italiane: Trentino Network, Fondazione Spadolini Nuova Antologia (attraverso il Premio Eco and the City), Fondazione casa natale Enzo Ferrari, Fondazione Guglielmo Marconi, Lepida Spa, Co.Svi.G. (Consorzio sviluppo aree geotermiche) di Firenze ed Edipress Communications, editore di Emergeo Magazine. Un misto di alte professionalità,  tecniche e scientifiche, per fare cultura anche intorno allo stesso concetto di innovazione, come assicurano i promotori. Un guardare al futuro senza perdere di vista i luoghi e le tradizioni di un popolo. E per far questo, cosa c’è di meglio di quei nomi che hanno fatto la storia del genio e della creatività italiana? Guglielmo Marconi ed Enzo Ferrari, innanzitutto. Grandi protagonisti del nostro tempo. In un bel volume pubblicato un anno fa, Mario Sechi tracciò un profilo efficace di Guglielmo Marconi, narrandoci le storie di italiani che non si arrendono. Il ritratto di un Paese che ha sempre trovato la chiave di volta per imporsi al mondo intero, anche quando le cose volgevano al peggio e sembrava che non ce l’avremmo fatta. Marconi: un “sognatore determinato”, lo sperimentatore,un poeta senza laurea dell’invisibile, del traliccio, del cavo, della materia e dell’onda che diventano messaggio. Il matto della radio, lo definisce Sechi. Un matto che “ai giorni nostri sarebbe stato più celebrato di Steve Jobs”. Enzo Ferrari: l’uomo che ha trasformato l’auto in una icona, in mito. Passione, audacia, bellezza coniugate all’unisono, nello sferragliare di motori roboanti. Superba parabola di meccanica e design .Follia ,inventiva  e saggezza a rendere imperitura l’ opera dell’Ingegnere. Voi direte: questo è passato, cosa c’entra con l’oggi ? C’entra , eccome. Se è vero che non c’e Futuro se si perdono  il senso e la dimensione del Passato, ebbene quei nomi sono espressione autentica della parte operosa del Paese. Un esempio illuminante. Il declino italiano, nelle sue varie sfaccettature, richiede un cambiamento profondo. Non solo in termini di sviluppo sostenibile, come usano ripetere tutti. Il cambiamento deve riguardare il come produrre e il che cosa produrre. Se non si parte da qui, sarà difficile immaginare un recupero di competitività per le nostre imprese. Il come  e il che cosa  richiedono conoscenze  e competenze adeguate. Oltre al fatto che, senza una attività di ricerca applicata, è ben difficile scovare sistemi produttivi altamente competitivi. Negli ultimi venti anni è prevalsa l’idea che il mercato, un mercato  privo di regole, fosse capace da solo di far crescere l’economia, scegliere gli investimenti giusti, produrre in maniera efficiente e creare occupazione. La  crisi italiana e internazionale dimostra il contrario. Le politiche industriali e dell’innovazione sono state essenziali per lo sviluppo dei paesi europei nel dopoguerra, e lo sono oggi per la crescita dei paesi emergenti dell’Asia e dell’America Latina. Quello che occorre  è una nuova generazione di politiche capaci di raggiungere quegli  obiettivi, senza commettere gli errori del passato. A tal fine occorre investire in ricerca e innovazione; sostenere le imprese che fanno sistema; alimentare le infrastrutture immateriali e realizzare quelle materiali. Tutte cose che si ripetono nei convegni con una ritualità ossessiva. Ma che ,poi, all’atto pratico, non assumono mai il carattere della concretezza. Ci si perde dietro chiacchiere inconcludenti. Altrove, in Europa, non si è perso tempo. In Francia, è stata creata una banca pubblica per investimenti di questo tipo. In Gran Bretagna, il governo conservatore di David Cameron sta facendo lo stesso. Per non parlare della Germania, che marcia ad una velocità superiore, grazie alla forte spinta assicurata alle tecniche innovative nei processi produttivi. In Italia, invece, l’idea di creare una nuova istituzione pubblica capace di destinare fondi pubblici per la ricerca e lo sviluppo, l’innovazione e gli investimenti, è ancora al di là da venire. Eppure nuove imprese in settori chiave potrebbero nascere con capitali privati e partecipazioni pubbliche iniziali. La verità è che ci portiamo dietro, come un’ombra ossessiva, il fardello delle Partecipazioni statali. Un retaggio psicologico. Un complesso di colpa dal quale non riusciamo al liberarci. Eppure, non tutto quello che fu fatto , in quell’epoca, era sbagliato. Né tutto era inquinato e corrotto. Se siamo saliti nella scala dei paesi più industrializzati, molto lo dobbiamo a quella esperienza. Dopo tanti anni , visto come sono andate a finire alcune  privatizzazioni, sarebbe  utile un riesame. Nell’attesa, accontentiamoci della buona notizia della Community che nasce nel nome di Marconi. Chissà che non faccia scuola?

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