Marino vuole affittare le opere d’arte. Broccoli: ottima trovata, un lavoro già fatto con Alemanno. Ma l’idea è davvero esente da rischi?
Che i sindaci siano allettati dalla tentazione di fare cassa sfruttando i monumenti non è una novità: ancora non si è del tutto spenta l’eco delle polemiche contro Matteo Renzi per la festa della Ferrari a Ponte Vecchio (120mila euro per il noleggio ma c’è chi accusa il sindaco di avere fatto un pessimo affare, incassando molto meno del previsto) che anche Ignazio Marino sposa la bella idea: concedere a titolo oneroso le nostre opere ad altri Paesi come ha fatto Parigi con il “Petit Louvre” ad Abu Dhabi.
Solo una battuta, quella di Marino, nell’ambito dell’intervento tenuto alla festa di Atreju, ma le cronache romane non hanno mancato di sottolineare la trovata. Umberto Broccoli, il sovrintendente capitolino ai beni culturali scelto da Gianni Alemanno, rivendica la paternità dell’idea: “Già dal 2009 – racconta – esiste un ufficio in Campidoglio per operazioni di valorizzazione di questo tipo che, gestite dalla precedente amministrazione, hanno fruttato alle casse del Comune 15 milioni. Ci sono già anche delibere in tal senso, Marino trova su questo terreno un lavoro già avviato con successo. Pensi che la prima operazione è stata la concessione dello spazio dei musei capitolini ai giapponesi per girarvi una fiction…”. Sì ma le polemiche che hanno investito il sindaco di Firenze? Non sarà un’idea troppo audace fare affari con l’arte facendo decadere il concetto di bene culturale “pubblico”? “Io difendo Renzi che ha fatto benissimo. Anche io sono stato sommesro di critiche per aver esposto all’Ara Pacis due macchinette ecologiche. Ovviamente questo fronte conservatore attacca idee di questo tipo, già in uso in America e consentite dalla legge, ma non fa proposte alternative e poi si lamenta che il nostro patrimonio artistico va in rovina. Ma per la manutenzione dei beni culturali servono soldi, dove li prendiamo se escludiamo i privati?”. Un eccesso di provincialismo, secondo Broccoli, impedisce di procedere su questa strada, ovviamente fissando dei paletti ben precisi: la tutela del bene. Paletti ideologici, come dire, non sono consentiti…
Dal fronte del centrodestra Sveva Belviso, capogruppo Pdl al Comune di Roma, valuta positivamente l’idea: “È interessante – afferma – soprattutto visto che esiste un percorso già tracciato e che l’idea è stata realizzata dall’amministrazione Alemanno. La delibera che istituisce la messa a reddito dei beni culturali di Roma è ormai operativa dal 2010. Ci farebbe piacere che Marino riconoscesse quello di buono che ha fatto il centrodestra al governo della Capitale”. Sì ma in una città come Roma che attira milioni di turisti da tutto il mondo un discorso del genere non rischia di risultare penalizzante? “Questa è l’altra faccia del problema. Ogni operazione va studiata tenendo conto dei flussi turistici e delle eventuali perdite che su quel fronte potrebbero verificarsi”.
Marino ha fatto riferimento al progetto del Petit Louvre di Abu Dhabi che però ha sollevato e solleva discussioni accese: intanto l’apertura è slittata dal 2012 al 2016 e gli Emirati Arabi, che si erano impegnati a versare 700 milioni di euro in trent’anni in cambio delle opere prestate dai musei francesi, due anni fa hanno interrotto i pagamenti. Ma al di là della questione contabile c’è quella culturale in senso stretto: l’identità dell’opera d’arte non è infatti minacciata dalla sua retrocessione al rango di bene mercificabile?
E ancora: il danneggiamento ai primi di agosto di un bassorilievo in gesso di Antonio Canova (L’uccisione di Priamo) che alcuni operatori stavano imballando in un museo di Perugia per trasferirlo ad Assisi per una mostra, ha riaperto il rubinetto delle critiche ai fautori delle opere in prestito o in affitto. In pratica, nell’epoca in cui tutto è globale e tutto è in movimento, esiste un vasto schieramento a favore della stanzialità delle opere d’arte.
Infine la stessa filosofia di Marino sull’arte da mettere a frutto appare non poco in contraddizione con l’idea del parco archeologico ai Fori Imperiali, perché o si crede alla tutela assoluta del bene artistico anche a costo di museificare un pezzo di città o si imbocca senza indugi la strada della sinergia con i privati sulla valorizzazione di capolavori che si ritiene appartengano all’umanità (e quindi devono muoversi oltre i confini di un ristretto territorio). Insomma, o prevale il “purismo” o lo sfruttamento “capitalistico” del bene artistico. Mettere insieme le due cose non è possibile.