Il Papa tenta l’impresa impossibile: redimere la pecorella smarrita. «Caro Scalfari, chi non crede…»

11 Set 2013 10:20 - di Desiree Ragazzi

«Mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede: la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza». Papa Francesco non finisce di stupire anche per i suoi rapporti diretti con i media. Martedì, a Repubblica, si sono visti recapitare una lettera dal Vaticano, il cui il Pontefice rispondeva a due articoli pubblicati, nel corso dell’estate, da Eugenio Scalfari, in cui il fondatore del quotidiano poneva alcune domande su lacità e fede. Alla domanda «se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede». Bergoglio spiega: «Ascoltare e obbedire» alla coscienza significa «decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire». Il Pontefice risponde poi ad altri temi chiave che il laico Scalfari aveva posto. Al quesito se sia peccato credere che non esiste alcun assoluto, il Papa risponde così: «Io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione!». Alla domanda se, con la scomparsa dell’uomo sulla terra, scomparirà anche «il pensiero capace di pensare Dio», Francesco risponde che Dio «non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra, l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato con lui».

Sul tema dell’apertura ai laici il Papa richiama il Concilio Vaticano II. Per chi cerca «di seguire Gesù nella luce della fede – scrive – questo dialogo è una espressione intima e indispensabile del credente. La fede, per me, è nata dall’incontro con Gesù». Ma,   aggiunge, senza la Chiesa non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità». E alla domanda posta da Scalfari «che cosa dire ai fratelli ebrei circa la promessa fatta loro da Dio: é essa del tutto andata a vuoto?», Francesco risponde: «È questo un interrogativo che ci interpella radicalmente come cristiani, perché con l’aiuto di Dio, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù. Anch’io, nell’amicizia che ho coltivato lungo tutto questi anni con i fratelli ebrei, in Argentina, molte volte nella preghiera ho interrogato Dio, in modo particolare quando la mente andava alla Shoah». E poi ancora: «Mai è venuta meno la fedeltà  di Dio all’alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell’alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto».
Eugenio Scalfari dà un primo commento alle parole del Pontefice, un dialogo con la “pecora smarrita”, definendo la sua lettera «una prova ulteriore della sua capacità e desiderio di superare gli steccati dialogando con tutti alla ricerca della pace, dell’amore e della testimonianza».

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