Scuole e atenei in tempi di crisi: boom per le facoltà scientifiche, addio a Lettere. Ma il mito del lavoro facile è una presa in giro
I danni morali e materiali di questa recessione che ci stringe in una morsa dal 2008 li stanno pagando soprattutto i giovani, gli studenti, i diplomati, chi si accinge a scegliere la scuola superiore dopo la terza media, chi è incerto se iscriversi all’università o cercare lavoro subito. Sono loro che si trovano nella posizione scomoda di dover posporre scelte, prospettive, vocazioni e predisposizioni personali a un fantomatico e nebuloso futuro dove l’unica stella polare è la possibilità di un immediato risvolto lavorativo. Ma chi, quale facoltà, quale istituto tecnico possono in questo periodo assicurare qualcosa? Eppure questa impasse sta condizionando scelte e impoverendo gli atenei sulla base di analisi e ipotesi (presunte) sulla situazione immediata e non su ragionamenti di lungo periodo. Triste.
Datagiovani ha elaborato dati provenienti dal Miur che Repubblica ha reso noti, che fotografano come proprio dal 2008 si sono registrate 38.340 immatricolazioni in meno, pari a una flessione del 12,5%, più evidente nel Mezzogiorno dove 24mila ragazzi hanno rinunciato a rincorrere la laurea. «Solo Sud e Isole le iscrizioni sono diminuite del 20%, mentre al Nord si parla di cifre più contenute, nell’ordine del 5%». Cambia pure la scelta della facoltà, orientata sempre di più verso quelle che offrono – solo virtualmente – maggiori sbocchi lavorativi. «Prova ne è – si legge – la tenuta delle facoltà scientifiche, con appena 142 immatricolati in meno (-0,2%) per un totale di 94mila iscritti, e il quasi sorpasso sull’area sociale che sebbene abbia richiamato 96mila matricole ha subito una perdita del 20%, pari a 25mila studenti. Non va molto meglio per le materie umanistiche (-11,9%) e sanitarie (-18,7%)».
In pole position troviamo Agraria e tecniche forestali, Fisica, Ingegneria industriale, Lingue moderne, Chimica, Ingegneria dell’informazione. Le scelte sono motivate dalla speranza di un accesso rapido alle professioni. Ma sempre di mera speranza si tratta. La facoltà di Lettere registra un meno 20,1 per cento di immatricolazione che mette i brividi in un Paese a forte vocazione e tradizione umanistica: una rinuncia a studi letterari che molti studenti prendono a malincuore.
Una scelta che del resto fa pendant con la crisi di iscrizioni al Liceo Classico. Dati provenienti dal Miur – come avevamo anticipato – parlano di un 2013 che sarà ricordato come l’anno scolastico dell’addio (quasi) definitivo al tanto amato-odiato Liceo Classico, che cala dal 6,6 per cento al 6,1%, sotto di quattro punti dal 2007-2008. Volano, invece, gli istituti tecnici e professionali. C’è chi in questa situazione plaude alla sconfitta delle materie umanistiche, alla luce di un malinteso mito della scienza, della manualità, delle applicazioni pratiche. Il liceo classico è stato un po’ il bersaglio numero uno in tal senso, tirato da tutte le parti fino a che le ore di Chimica non hanno eguagliato quelle di Greco, con la complicità di alcuni ministri di sinistra del recente passato. Certo è che la questione va sottratta dal dibattito ideologico e se qualcuno avesse a cuore il futuro e i giovani che lo incarnano dovrebbe dire la verità.
Ossia che in questo momento storico-economico il mito del lavoro facile nessuno istituto tecnico può darlo, così come nessuna facoltà scientifica, in un Paese, tra l’altro, dove le risorse per la ricerca scientifica sono state decimate. Altri – una certa sinistra- anziché incoraggiare tali scelte per ora non paganti – dovrebbero riconoscere quel che in questo Paese ha sempre funzionato a livello di formazione culturale: il “famigerato” Classico ha sfornato ingegneri e medici, non solo professori e intellettuali tra le nuvole. Le lingue “morte” – unico argomento rimasto ai detrattori- sono lingue utili per aiutare a parlare meglio l’italiano e per ragionare. E la logica è utile anche per la matematica e le materie scientifiche. Eppure c’è chi mira ancora alla scomposizione dei saperi…