Per pochi spiccioli catturato uno della banda che portò a termine “la rapina del secolo”
Lo hanno fermato mentre si infilava in tasca, dopo averli contati, 200 euro, l’ultima rata dei centomila che aveva preteso da un imprenditore edile per un prestito di 30 mila. Spiccioli in confronto ai 35 miliardi delle vecchie lire di cui nel 1984 s’impossessò con alcuni complici in quella che è passata alla storia come “la rapina del secolo”. Giampaolo Morosini, 65 anni, gli ultimi trascorsi lontano dai radar della giustizia, è tornato in manette, questa volta con le accuse di estorsione e usura. Ai poliziotti che lo hanno circondato, nel bar di una stazione di rifornimento alla periferia di Cuneo, non ha opposto resistenza.
Quando lo hanno accompagnato in questura, ha raccontato la sua vita criminale. Compreso il colpo al caveau della Brink’s Securmark di Roma, una società di custodia e trasporto valori che aveva tra i suoi principali azionisti Michele Sindona. Un colpo studiato nei minimi dettagli, dal rapimento dell’impiegato Franco Parsi e della sua famiglia, tenuta in ostaggio mentre lui faceva entrare i banditi nel deposito, alla messinscena studiata per depistare le indagini. Dopo essere entrati nel deposito e avere immobilizzato le due guardie giurate, infatti, la banda disseminò il luogo della rapina di falsi indizi: un cartello di cartone con il disegno della stella a cinque punte, una granata inerte del tipo “Energa” per le esercitazioni militari e copia di una “Risoluzione strategica” delle Br poi risultata fotocopiata da un libro di Giorgio Bocca. Anche la rivendicazione telefonica che attribuiva alle Brigate Rosse il colpo risultò ben presto «scialba e non consistente». Morosini venne arrestato dopo qualche anno di latitanza e condannato a 12 anni anche se sostenne sempre di non avere partecipato a quella rapina, che ancora oggi presenta molti punti oscuri.
Tra i suoi complici c’era Antonio Giuseppe Chicchiarelli, detto Tony, ufficialmente gallerista d’arte, in realtà un ambiguo personaggio della malavita romana legato agli ambienti dei servizi segreti deviati. A lui venne addebitato, tra l’altro, il falso documento delle Br sul lago della Duchessa, durante il rapimento Moro. Fu ucciso pochi mesi dopo in strada, e nel suo appartamento, oltre a una enorme quantità di denaro, venne ritrovata la videocassetta dello Speciale che il Tg1 aveva dedicato alla “rapina del secolo”. E, si dice, alcune polaroid che ritraevano ancora vivo Aldo Moro nel covo delle Brigate Rosse. Un mistero nel mistero, come la fine di quei sacchi di plastica con dentro tutto quel denaro portati via a bordo di una Alfasud. Alcuni miliardi servirono per pagare i basisti della banda, un altro paio vennero trovati sui conti svizzeri di un finanziere torinese arrestato nel ’91 che li gestiva per conto di Germano La Chioma, un altro rapinatore della Securmark. Tutti gli altri sono spariti nel nulla insieme a molti altri segreti degli anni bui della Repubblica.