L’allarme di Marchionne ci dice che l’Italia non può più fare a meno di una legge sulla rappresentatività

1 Ago 2013 20:35 - di Giovanni Centrella

Nuovo round nel confronto tra sindacati e Fiat sul futuro che attende il Gruppo automobilistico torinese alla luce del preoccupante ragionamento  fatto nei giorni scorsi da Sergio Marchionne. Parole, quelle dell’amministratore delegato del Lingotto, che hanno un antefatto: la pronuncia della Corte Costituzionale del 3 luglio con cui è stata stabilita l’illegittimità dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, nella parte in cui nega la rappresentanza sindacale aziendale alle sigle che non hanno firmato le intese sul contratto collettivo. A chiedere la pronuncia i giudici di Modena, Vercelli e Melfi in seguito ai ricorsi della Fiom relativi agli stabilimenti Ferrari, Maserati e Cnh, dove suoi delegati sono stati esclusi dalla fabbrica. Diversi erano stati fino a quel momento i pareri dei giudici, che avevano a volte dato ragione alla Fiat, altre volte alla Fiom.

Qual è stata la reazione di Fiat? In attesa che fossero rese note le motivazioni, il Gruppo aveva dichiarato di non voler «lasciare in balìa di un mercato in declino gli stabilimenti europei», sottolineando anche che senza regole certe, cioè senza un atto del governo, una legge, che “sostituisca” l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, quello alla Sevel in Val di Sangro in Abruzzo rischiava di essere «l’ultimo investimento» di Fiat in Italia. Pari, detto per inciso, a 700 milioni di euro in 5 anni per il restyling del Ducato.

Una volta pubblicate le motivazioni, Marchionne ha rincarato la dose riservandosi la possibilità di valutare «se e in che misura il nuovo criterio di rappresentatività, potrà modificare l’attuale assetto delle proprie relazioni sindacali e, in prospettiva, le sue strategie industriali in Italia». Molti “addetti ai lavori”, tra cui l’Ugl, si sono convinti ormai che per superare il problema sia diventata indispensabile una legge sulla rappresentatività, che regoli definitivamente e senza dare adito a discordanti interpretazioni le relazioni tra sindacati e imprese.  Ma il mio timore è che il vero problema sia un altro: i ricorsi in tribunale e l’attenzione mediatica intorno a un piano di rilancio molto coraggioso di un Gruppo industriale così importante rischiano prima di tutto di far scappare eventuali investitori, soprattutto stranieri, agli occhi dei quali ormai l’Italia dovrebbe essere diventato un Paese incomprensibile e inavvicinabile. Rischiamo insomma si far scappare i buoi prima di aver costruito il recinto.

*Segretario generale Ugl

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