La “controrivoluzione” delle ragazze inglesi: prima i figli, poi il lavoro. Che diranno le femministe?
Molto sta cambiando nell’universo femminile. Le femministe d’annata rimangono spiazzate dallo “stile” Femen. Ma forse lo saranno di più dopo il “contrordine ragazze” che viene dalla “femministissima” Gran Bretagna. Prima i figli, poi il lavoro. Le ventenni britanniche hanno infatti rovesciato le priorità: l’ufficio può attendere. I bambini crescono meglio con la mamma a casa. La morale è (non era mai capitato nel dopoguerra) che le millennials – come vengono definite le ragazze nate tra il 1985 e il 1994 – lavorano meno delle donne nate dieci anni prima di loro. La “rivoluzione conservatrice” delle giovani inglesi è documentata da uno studio della London School of Economics. E pensare che le donne britanniche sono state la punta d’avanguardia nella lunga marcia che ha portato le donne a recuperare il gap lavorativo con gli uomini. All’epoca della Thatcher a Downing Street, la percentuale era al 58%. Nel 2000 l’ occupazione femminile era arrivata al 71%, più di dieci punti percentuali sopra il resto d’ Europa. Ora solo il 68% delle ventenni inglesi ha un impiego, calcola la ricerca del professor Alan Manning. Queste cifre riflettono mutamenti culturali e sociali profondi. «Le donne di questa età, a ragione o torto, pensano che il ruolo di una madre non possa essere sostituito da palliativi come una baby sitter, un asilo nido o un padre più presente in casa», sostiene il professore della Lse. Un tempo pensarla così era sinonimo di oscurantismo educativo, ora il 27% delle ventenni – secondo i dati del British Attitude Survey – è convinta che una madre che lavora faccia crescere peggio i figli. La voglia di maternità – di una sana maternità- che viene dalla Gb è un fenomeno che va svincolato dal dibattito ideologico. Sentirsi insostituibili come madri e sacrificare il lavoro per un po’ non è un peccato. Può insegnarci qualcosa questa retromarcia, pur senza mettere in discussione le conquiste storiche del femminismo nazionale? Da noi il trend è opposto: i figli possono attendere ma il lavoro no: l’età media delle mamme, secondo i dati del ministero della salute, è salito a 32 anni e mezzo. E nelle cliniche di Milano – si legge su Repubblica – in teoria una delle aree più ricche di lavoro nel Paese, «le donne tra i 35 e i 44 anni fanno più figli (il 48,4%) delle 25-34enni (44,7%)». Non è un segnale positivo, soprattutto se si tratta di scelte sofferte. Ma va ricordato che la responsabilità non è solo della crisi economica, che è fenomeno recente. Più a fondo ha agito il bombardamento psicologico di certo femminismo che ha veicolato i suoi messaggi in maniera ultimativa ed elitaria – lavoro e famiglia sentiti come un aut aut- facendoli diventare cultura diffusa e dominante. Messaggi lacunosi che hanno lasciato ben poca possibilità sintesi nella sensibilità femminile. Con risultati poco brillanti su entrambi i fronti che sono sotto gli occhi di tutti.