Tra le rovine maltenute di Pompei spuntano i pomodorini. E i giapponesi si fanno le foto…
La foto del turista giapponese a Pompei vicino a una piantina di pomodoro cresciuta inopinatamente tra i ruderi, è certo destinata a riaprire le polemiche su uno dei più prestigiosi siti archeologici mondiali. Tanto più che proprio pochi giorni fa è venuto dall’Unesco un monito all’Italia su questo argomento. «Il governo italiano ha tempo fino al 31 dicembre 2013 per adottare misure idonee per Pompei e l’Unesco ha tempo fino al 1 febbraio 2014 per valutare ciò che farà il governo italiano e rinviare al prossimo Comitato mondiale 2014 ogni decisione». Così infatti il presidente della commissione nazionale italiana Unesco, Giovanni Puglisi, ha annunciato “l’ultimatum” da parte dell’Unesco, l’organizzazione culturale delle Nazioni Unite, su Pompei, uno dei siti italiani patrimonio dell’umanità. I siti riconosciuti dall’Unesco sono finora 981 (759 beni culturali, 193 naturali e 29 misti) in 160 Paesi. L’Italia ne ha il maggior numero, 49. Ma, almeno per quanto riguarda Pompei, è carente. Il presidente Puglisi ha tuttavia chiarito che «non si tratta di una relazione che mette Pompei tra i siti in pericolo, tra l’altro è stata fatta in piena collaborazione con il governo italiano e con il ministero dei Beni culturali, che pertanto sono perfettamente a conoscenza di questo atto». Però a gennaio c’è stata la relazione istruttoria dell’Unesco in cui si citavano «carenze strutturali (infiltrazioni d’acqua, mancanza di canaline di drenaggio) e danni apportati dalla luce agli affreschi, costruzioni improprie non previste dal precedente piano, mancanza di personale». E oggi anche la piante di pomodoro spontanea. Antonio Irlando, l’architetto urbanista presidente dell’Osservatorio patrimoniale culturale, ha definito inaccettabile questa situazione. Già nelle settimane scorse Irlando aveva denunciato lo stato di incuria in cui versa il sito più famoso al mondo, ormai non solo per l’antichità e l’estensione delle rovine, ma purtroppo anche per i numerosi crolli di muri, cedimenti di pilastri e sbriciolamenti di intonaci, susseguitisi nel corso degli anni: «L’intonaco è la pelle di Pompei, tutto ciò che di esso rimane è solamente un’infiltrazione d’acqua, erbacce conficcate tra una pietra e l’altra delle mura». Che Pompei debba rinascere, lo ha detto pochi giorni fa anche il ministro dei Beni culturali Massimo Bray, che ha lamentato più che altro la carenza di risorse, in alcune interviste ai giornali, dopo la sua circolare che costringe direttori di musei, responsabili di siti archeologici e funzionari della soprintendenza a una scadenza triennale. «Il linguaggio della normativa – ha detto il ministro in un’intervista – appare molto brusco, ma il provvedimento risponde a una sollecitazione della normativa europea, poi bisogna vedere l’obbligatorietà della sua applicazione. Ho chiesto un approfondimento su questo». Il ministro Bray ha reso noto di aver nominato proprio in questi giorni una Commissione ministeriale col compito di riorganizzare il ministero, e di coordinare il rapporto con i privati e l’integrazione tra Turismo e Beni Culturali. Bray ha detto più volte di attendersi dal premier Enrico Letta lo stanziamento di più risorse per affrontare la sfida culturale del prossimi anni, che potrà avere ricadute anche sul comparto turistico. «Entro dicembre – ha aggiunto – devono partire i cantieri per Pompei, trovando il modo di utilizzare le risorse europee», ricordando che «negli ultimi cinque anni il bilancio del ministero dei Beni culturali si è ridotto di due terzi…».