Scissione? Una parolaccia. Per Epifani non c’è nessun rischio. Renzi punzecchia il Pd: si occupi del Paese e non delle correnti

5 Lug 2013 20:10 - di Romana Fabiani

Anche lui, come Massimo D’Alema, se la prende con la stampa superficiale e sensazionalista, che non ha capito il dinamismo democratico della stagione pre-congressuale e confonde la normale dialettica di un grande partito con le baruffe da cortile. «Non c’è alcun rischio per la tenuta unitaria del Pd. Ho trovato esagerati molti titoli sui giornali. C’è una discussione interna, siamo un partito vero e non personale». È un Guglielmo Epifani risoluto ma anche un po’ spompato dalle correnti che tirano di qua e di là e dalla controffensiva renziana quello che parla a Torino invitato da Piero Fassino, nella sua veste di nuovo presidente dell’Anci. «La sua elezione ci riempie di orgoglio», dice il segretario del Pd ben sapendo che Fassino arriva alla guida dei comuni nel bel mezzo della delicatissima partita sull’Imu, che non farà sconti al governo, e che è tentato dall’abbraccio con Matteo Renzi (che ha rinunciato tempo fa candidatura a numero uno dell’Anci). Unità: è la parola magica di questi giorni, ormai un mantra per la dirigenza dem che teme come la peste la mina vagante rappresentata dal sindaco di Firenze per la tenuta del governo del compagno Letta.

Non si contano gli appelli a restare uniti della dirigenza che si divide i compiti, c’è chi fa da front-office con i giornalisti e chi lavora dietro le quinte con D’Alema mentre i candidati, nessuno escluso, pretendono discontinuità. «In questa fase preliminare dobbiamo confrontarci senza bandierine, tutti nessuno escluso – ha detto Pier Luigi Bersani – Nessuno può chiamarsi fuori se vuole far parte della comunità e della squadra».  Ma i renziani non credono alla mozione degli affetti e rilanciano. «Penso che la patente di accessibilità ad una serie di ruoli non la debba dare un gruppo dirigente o pezzi di gruppo dirigente, tanto più se sono responsabili della sconfitta elettorale, ma devono essere gli elettori e gli iscritti», dice Dario Nardella, renziano doc ed ex  vicesindaco di Firenze.

Renzi, che dice di sentirsi più don Chisciotte che Batman («anche se mi sarei stufato di perdere…»), torna a punzecchiare: il Pd farebbe meglio a preoccuparsi del Paese piuttosto che delle correnti del partito. A  chiedere un taglio netto con il dirigismo non sono solo i renziani. Per il liberal Enzo Bianco, sindaco di Catania, «il futuro del Pd non può essere costruito se non partendo dalla smentita elettorale del 24 e 25 febbraio e dal senso politico e culturale che ad essa va attribuito». Insomma se la compattezza del correntone (smentito dai diretti interessati) è unito solo dalla contrarietà a Matteo Renzi «è un problema serio per tutto il Pd». Sarebbe un errore gravissimo – dice  Cuperlo, un altro dei candidati in pista – «non credo che nessuno l’abbia fatto e nessuno ha l’intenzione di farlo». Dialettica sì, ma nessuno si azzardi a pronunciare la parola “scissione”.

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