Processo Mediaset, parlano i difensori del Cav. Coppi: «Nessun reato, si annulli la sentenza»

31 Lug 2013 20:04 - di Redazione

«Silvio Berlusconi va assolto, la sentenza di condanna emessa in appello è incorsa in una serie di travisamenti di prove». Per Franco Coppi, legale di Silvio Berlusconi, non ci sono altre vie da percorrere. Davanti ai giudici della Cassazione nella seconda giornata di udienza del processo Mediaset, che vede tra i quattro imputati l’ex premier, il professore ha sottolineato che «Berlusconi, come tutti sanno, dal 1994 si dedica interamente alla politica e non si occupa più di gestione societaria. Figuriamoci se metteva bocca nelle quote di ammortamento del 2002-2003 quando ormai da dieci anni aveva accantonato queste preoccupazioni, se mai si fosse occupato di cose del genere». Coppi ha anche ricordato che il manager Franco Tatò, che prese in mano gli “affari” di Silvio Berlusconi sceso in politica, aveva affermato che con il Cav «era difficile addirittura avere un contatto fisico, si poteva discutere per telefono solo di qualche strategia di carattere generale». E ha sottolineato che «Tatò non rese una testimonianza compiacente e infatti non è stato accusato di falsa testimonianza». Nella sua arringa Coppi ha precisato che Berlusconi «non era il “dominus” di nessuna catena truffaldina e mi rammarico che, invece, questa tesi sia stata condivisa anche dalla Procura della Cassazione». Per questo motivo non regge «la tesi della continuità» che ritiene Berlusconi ideatore fin dagli anni ’80 delle truffe fiscali fino agli anni recenti. Ed ha quindi chiesto «che la sentenza venga annullata perché il fatto, così come prospettato in mancanza di una violazione di una specifica norma antielusiva, non è reato, è penalmente irrilevante».

Coppi ha fatto esplicito riferimento a pronunciamenti della Cassazione civile e della Cassazione penale per circoscrivere un punto, e cioè se ci si trovi o meno di fronte a una condotta penalmente rilevante. «Questo – ha detto – è un quesito che rimetto alla Corte. Se manca il contrasto con una disposizione antielusiva, l’abuso è penalmente irrilevante. Potrà anche esserci un’elusione gigantesca, ma non siamo nell’ambito dell’illecito penale», ma di fronte ad un illecito «di tipo amministrativo e tributario». Il verdetto è atteso per giovedì pomeriggio. Prima di lui aveva parlato anche Niccolò Ghedini. Sin dalle prime battute ha replicato alla requisitoria del pg Antonio Mura: «Sono d’accordo con il signor procuratore, le passioni debbono rimanere fuori dall’aula, ma non per noi. Nel nostro mestiere ci devono accompagnare».  Sono sedici anni che difendo Berlusconi, ha detto Ghedini, «sicuramente troppi. E sento dire che dobbiamo difenderci nel processo e non dal processo. Ma come facciamo a difenderci nel processo con un tribunale che mi dice: concordate con il pm le domande per i testi?». Il riferimento è alla lista dei 171 testimoni avanzata in primo grado. Ghedini ha raccontato, che subito dopo aver presentato la lista, il tribunale ha obiettato che fossero «troppi, ma il troppo si può apprezzare dopo averne sentito almeno uno. Invece no». I testi, ha argomentato Ghedini, «sono stati tutti revocati perché ritenuti superflui. Ma quale difesa nel processo… Noi in cento udienze abbiamo sentito sei testimoni, tra l’altro comuni alle altre difese, più i nostri consulenti». Durante l’arringa ha sostenuto che «il processo è stato vissuto sempre sul filo della prescrizione, come se si dovesse prescrivere un giorno per l’altro. Sarebbe meglio si potesse rinunciare preventivamente a questa prescrizione così da potersi difendere nel processo».

 

 

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